Mafia, il processo Araba Fenice e le estorsioni, più tentate che riuscite ...
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Tra i principali capi d’imputazione connessi al procedimento per mafia che si trascina il nome dell’inchiesta “Araba Fenice”, prossimo alla sentenza in primo grado al Tribunale di Siracusa fissata il 17 gennaio, le plurime estorsioni - ma sono più le tentate estorsioni contestate - che, secondo l’accusa, Salvatore Giuliano e il suo ‘braccio armato’ avrebbero esercitato per mezzo della società “La Fenice”. In che modo? È presto detto. Salvatore Giuliano, Giuseppe Vizzini e altri, avrebbero imposto ai produttori e ai commercianti di prodotti ortofrutticoli la propria intermediazione nella commercializzazione sul territorio che si estende tra Pachino e Portopalo di Capo Passero, con diramazioni nei limitrofi comuni di Noto, Rosolini e Vittoria per raggiungere un regime monopolistico che, sempre secondo l’accusa, sarebbe stato esercitato con il condizionamento del metodo mafioso, cioè con minacce e intimidazioni. In realtà, lo diciamo sin da subito, durante tutto il dibattimento nessuno dei testimoni, nemmeno i testi di polizia giudiziaria, hanno mai fatto riferimento a casi espliciti di minacce o violenze, secondo il P.M. per motivi di paura, secondo le difese perché mai poste in essere. In tutti i capi di imputazione si legge appunto che le minacce sarebbero state avanzate in modo larvato.
Salvatore Giuliano e “La Fenice” srl
Salvatore Giuliano, classe ’63, negli anni Novanta venne tratto in arresto per l’appartenenza a un’associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alle estorsioni, alla detenzione e al porto di armi ed esplosivi, alla consumazione di reati contro il patrimonio e la persona, nonché per associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. All’esito dei processi le accuse trovarono riscontro nelle sentenze di condanna.
Il ruolo di vertice all’interno della consorteria mafiosa pachinese emergeva nell’Operazione Titano: Salvatore Giuliano era indicato come promotore di una consorteria mafiosa collegata al clan di Salvatore Cappello. Condannato in via definitiva alla pena di ventuno anni di reclusione, Salvatore Giuliano sarà detenuto ininterrottamente dal 25 ottobre 1993 al 18 maggio 2013.
Una volta tornato in libertà, Salvatore Giuliano inizia a rimettere insieme i pezzi della propria vita e a lavorare come dipendente, prima presso una società di commercializzazione di prodotti agricoli, poi presso “La Fenice”, società costituita da Simone Vizzini (figlio di Giuseppe) e Salvatore Spataro. I rapporti tra i due soci iniziano a incancrenirsi e Salvatore Spataro cede le proprie quote a Gabriele Giuliano figlio di Salvatore. Nel corso del suo esame, il figlio Gabriele - che all’epoca dei fatti svolgeva attività di barman - ha dichiarato che giunse alla determinazione di acquisire le quote della società “La Fenice” quando venne a sapere dal padre che di lì a poco la società “La Fenice” si sarebbe sciolta per i dissidi interni tra la compagine sociale e, di conseguenza, il padre sarebbe potuto rimanere disoccupato. Simone Vizzini e Gabriele Giuliano sono chiamati a rispondere del reato di intestazione fittizia perché, secondo la tesi dell’accusa, erano i loro padri a interfacciarsi con i produttori e i commercianti.
Oltre l’ultima partita di anguria, il pomodoro
La stagione delle tentate estorsioni condite dal metodo dell’intimidazione secondo l’accusa si apre nel 2015 con la denuncia del dott. Antonino Nicastro, detto Ninni, commercialista e titolare della società agricola “NIBA” srl. Presentandosi alla Sezione Criminalità Organizzata della Questura di Pachino Nicastro riferisce di avere ricevuto la visita dei fratelli Aprile che definisce soggetti malavitosi, omettendo di informare del loro consolidato rapporto di amicizia: Nicastro, infatti, li frequenta, ci esce, e li ospita nella sua villetta a mare. La visita dei fratelli Aprile, invero, non la riceve nemmeno Nicastro ma il suo socio, Corrado Barrotta per proporre la commercializzazione di una partita di angurie, ovviamente a provvigione. Apprestandosi verso l’uscita, uno dei fratelli Aprile dirà: “Bel magazzino questo, dobbiamo fare molta attenzione!”, affermazione che il PM Alessandro Sorrentino interpreta come una larvata allusione a possibili ritorsioni nei confronti dell’attività commerciale della vittima in caso di resistenza alla richiesta. Una volta al banco dei testimoni, Barrotta confermava l’incontro cordiale con i fratelli Aprile e su quella precisa affermazione non ha dubbi: “Per me è stato un complimento, perché è venuto la prima volta. Cioè sono venuti la prima volta... da quello che... diciamo perché l’hanno detto a me personalmente, poi…”, confermando di non avere percepito alcun tono intimidatorio. Salvatore Giuliano e Giuseppe Vizzini in un secondo momento si recheranno alla Niba e comunicano la percentuale della mediazione fissata al 5 percento, in linea con le percentuali di mercato. Si crea però un malinteso commerciale sul prezzo delle angurie: Nicastro aveva già chiuso altri accordi, acquisendo la produzione di Lucchesi che rivende a Frudis perciò corre ai ripari recandosi egli stesso al magazzino “La Fenice”. Dalle attività investigative emergerebbe un atteggiamento intimidatorio sfociato in un’aggressione fisica da parte di Giuseppe Vizzini nei confronti di Corrado Bartorotta in realtà mai avvenuta: è il teste a smentire drasticamente tale circostanza dichiarando che, diversamente, sarebbe andato immediatamente a sporgere denuncia. Questa tesi è anche confermata da quanto emerge in una intercettazione di Nicastro che, parlando al telefono con il ragioniere della sua società, smentisce categoricamente l’accaduto, relegando l’occorso ad una delle tante vanterie fantasiose di Giuseppe Vizzini.
Se gli affari dell’anguria tra Niba e La Fenice cessano nel 2016 con la vendita dell’ultima partita rimasta a Niba, quelli del pomodoro perdurano senza problemi fino al 2017 per stessa ammissione di Nicastro e comprovata dalla contabilità.
Tentate estorsioni, estorsioni o lecite provvigioni di mediazione?
Nell’estate 2015 “La Fenice” prova a estendere i propri affari di mediazione e commercializzazione oltre i confini di Siracusa spingendosi nel ragusano, a Vittoria, capitale del pomodoro ciliegino e datterino. Salvatore Giuliano, Giuseppe Vizzini e i fratelli Aprile si avvicinano dunque agli imprenditori Angelo Iacono titolare della DA.GIA. Ortofrutta s.r.l. e al suo dirimpettaio di magazzino Giuseppe Forte, titolare della VALFORTE s.r.l. attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli che acquistavano direttamente nelle serre pachinesi senza passare da alcuna mediazione.
La proposta di mediazione a provvigione avanzata da Vizzini e Giuliano a Iacono, però, non è ben compresa da quest’ultimo e si evince dalle intercettazioni usate dalla pubblica accusa come elemento probatorio. Iacono vorrebbe agire da mediatore, invero la mediazione la esercitano Giuliano e Vizzini i quali provano a spiegargli che la provvigione è dovuta per la loro mediazione doveva corrisponderla come gli altri. “E allora facciamo una cosa, - dice Salvatore Giuliano intercettato mentre analizzava la questione con Vizzini - tieni dieci mila euro al mese”: se Iacono non avesse corrisposto la provvigione era come se “La Fenice” gli stesse regalando 10mila euro al mese. L’accusa sostiene che Giuliano avrebbe detto “dammi diecimila euro al mese” mentre il perito scrive che Giuliano abbia detto “Tieni diecimila euro al mese”.
Vizzini continua a sondare il terreno scoprendo che Forte, ex socio della moglie che lo aveva lasciato sul lastrico “scappando” a Vittoria e lasciando i debiti da pagare alla signora Corvo, rivendeva a “Costa dei Sapori”, azienda di Vittoria alla quale vorrebbe avanzare una proposta di mediazione per altri prodotti: “Lo inviti a Pachino e gli proponi il lavoro: ciliegino, datterino, piccadilly, zucchina”, diceva a Paolo Scala invitandolo a organizzare un incontro con i titolari.
Affari, libera concorrenza e lavoro di mediazione intese come monopolio e tentativi estorsione, si potrebbe obiettare.
Dello stesso tenore è la vicenda che ruota intorno al capo d’imputazione che vede Franco Floriddia quale vittima di un’altra presunta tentata estorsione. Il signor Floriddia è un noto produttore di Rosolini esperto nel settore ortofrutticolo e soprattutto nella coltivazione di zucchine e angurie: a conferma, il suo fatturato medio di 2 milioni di euro l’anno. A causa del gelo intervenuto nell’inverno del 2015 il signor Floriddia registrava una paralisi produttiva tanto da dover attendere che arrivasse a produzione l’anguria per potere fare fronte alle somme di cui era debitore con “La Fenice”: 1800 euro. Secondo l’accusa tale somma non era dovuta e quindi si trattava di una estorsione mentre per le difese e per quanto dichiarato dallo stesso Floriddia, era un debito che lui aveva accumulato con la Fenice per il conferimento di una quantità di zucchine inferiore a quella che la società Fenice aveva acquistato anticipatamente come frutto pendente, mai giunto a maturazione a causa del gelo. Anche su questo punto, il difficile compito del Tribunale chiamato a pronunciarsi su questa intricata vicenda.
Nel corollario delle tentate estorsioni, Salvatore Giuliano e Giuseppe Vizzini con il concorso di Giuseppe Crispino in qualità di mediatore per l’accusa “compivano atti idonei in modo non equivoco a costringere FANCELLO Salvatore, […] a corrispondere loro la somma di denaro di euro 20.000 a titolo di sanzione per aver direttamente venduto una partita di miniangurie senza aver fatto ricorso alla mediazione de ‘La Fenice’, così procurando a se stessi un ingiusto profitto patrimoniale con pari danno della persona offesa”.
Salvatore Fancello, detto “pampinedda” era il rappresentante legale della ORTOSUD PRIMIZIA, società di commercio all'ingrosso di frutta e ortaggi che in quell’occasione si riforniva delle miniangurie prodotte dall’azienda di Giovanni Lauretta e dei suoi fratelli. “La Fenice” e Lauretta si accordano sull’acquisto per 80 centesimi al chilo delle miniangurie da rivendere poi a Fancello che si sarebbe dovuto occupare della raccolta. Fancello però ne prende un quantitativo inferiore e lascia gran parte del prodotto sul campo mettendo spalle al muro la società La Fenice che, per onerare i suoi impegni con il produttore Lauretta, dovette fare fronte ai costi di raccolta e della successiva fase di commercializzazione di una quota pari ai 3/5 di tutta la produzione. Per l’accusa la richiesta delle provvigioni spettanti sarebbero una tentata estorsione. Anzi, di più! Sarebbero addirittura una sanzione per il mancato raccolto. Per le difese, si sarebbe trattato invece di provvigioni addirittura relative ad altre partite e non a quella di Lauretta.
Un’altra accusa di tentata estorsione con minaccia e violenza a carico di Salvatore Giuliano e Giuseppe Vizzini tocca la figura di Giovanni Tué, produttore ortofrutticolo che si trova a presentare a “La Fenice” i Carbone, commercianti di angurie originari della Campania che non si riveleranno dei buoni pagatori. Un assegno reso a “La Fenice” risulterà non pagato e, trovandosi in difficoltà, chiedono un prestito di 25mila euro a Tué che aveva appunto garantito per i Carbone.
Dalle spontanee dichiarazioni rese da Giuseppe Vizzini, si chiariscono i fatti. “La Fenice” staccava un assegno postdatato dell’importo di 32760 euro a Tué che porta in banca a titolo di sconto assegno per ricevere l’anticipo di 25mila euro chiesti in prestito da “La Fenice”. L’operazione viene mascherata da fatture per vendite mai avvenute che dal loro importo confermano la narrazione di Vizzini.
L’estorsione contestata a Salvatore Giuliano e a Claudio Aprile ai danni di Francesco Rizza, titolare di uno stabilimento balneare a Portopalo, si riconduce alla corresponsione della somma di 1500 euro nell’ottobre 2015 a Claudio Aprile a titolo di “guardiania”. Rizza in aula conferma quanto aveva già dichiarato alla Polizia, e cioè che quella somma era dovuta come compenso di lavoro: Aprile Claudio e i suoi fratelli erano stati da lui ingaggiati per il trasporto delle tavole necessarie all’allestimento dello stabilimento e in particolare per il chiosco fino alla spiaggia, riportata indietro a fine stagione. L’accusa, a distanza di sei anni, contesta le dichiarazioni di Rizza e chiede che venga deferito in procura per falsa testimonianza la difesa evidenzia la bontà delle dichiarazioni del Rizza e fa notare che se l’accusa avesse avuto prova della falsità delle dichiarazioni del Rizza avrebbe potuto indagarlo per favoreggiamento già nel 2016, cosa che non è avvenuta.
I fratelli Aprile sono accusati di estorsione alla famiglia Lupo, estorsione consistita nell’avergli impedito di condurre un parcheggio. Ad aggravare la loro posizione, un incendio nella casa in campagna che, per ipotesi investigative, viene a loro attribuito da monito o, se vogliamo, per vendetta.
La famiglia Lupo era proprietaria di un terreno di circa 6.000 mq in prossimità della località balneare Isola delle Correnti che, fino al 2017, i fratelli Aprile avevano adibito a parcheggio abusivo senza corrispondere alcuna somma ai Lupo. Nel corso del 2017, il figlio Corrado insieme al cugino Angelo Di Grande, avviavano l’iter per regolarizzare il parcheggio e ottenere le autorizzazioni dal Comune di Portopalo. Di questo piano viene informato Giuseppe Aprile dal padre di Corrado, Antonio Lupo la domenica delle Palme durante un incontro occasionale. Per ritorsione ipotizzata dagli inquirenti, i fratelli Aprile avrebbero incendiato l’abitazione dei Lupo a Portopalo di Capo Passero in contrada Cuffara. Tuttavia, non è emerso alcun elemento a collegare con certezza i fratelli Aprile con l’attentato incendiario all'avvio dell’attività di parcheggio, esattamente come non è emerso che l’indotto derivante dalla gestione del parcheggio abusivo finisse nelle casse del Clan Giuliano.
Salvatore Giuliano, Giuseppe Vizzini, Claudio e Giovanni Aprile sono inoltre accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti dei coniugi Valvo.
La moglie di Giuseppe Vizzini è dal 1993 destinataria di una procedura esecutiva immobiliare in cui è disposta la vendita di una villetta a Noto che viene messa all’asta nel 2015, aggiudicata dalla signora Valeria Caruso, moglie del signor Valvo, che consegna al delegato della vendita due assegni, uno di 6400 euro come acconto prezzo e uno di 12800 per acconto spese, riservandosi di pagare il saldo prezzo entro il termine di 60 giorni dall’aggiudicazione pena la decadenza dal diritto di assegnazione della casa con relativa perdita della somma versata a titolo di acconto prezzo cioè dei 6400 euro. Secondo l’accusa, i coniugi Valvo avrebbero subito pesantissime, reiterate ed esplicite minacce per costringerli a revocare l’offerta di acquisto dell’immobile di Vizzini. Convocati presso la Questura di Siracusa, i coniugi confesseranno che effettivamente avevano rinunciato all’acquisto accordandosi con Vizzini per la restituzione della somma di 6400 euro che avrebbero perso non versando il saldo prezzo nel termine stabilito. A indurli a questa decisione non le minacce ma il fatto che non sarebbero riusciti a entrare in tempi brevi in possesso della casa essendo la prima abitazione dei Vizzini e considerate le condizioni di salute della moglie di Vizzini. Ed effettivamente, come accertato in sede di dibattimento, Vizzini corrisponde ai coniugi Valvo 1000 euro in contanti e la rimanenza con assegni che all’esito delle indagini sono risultati incassati.
Infine, è contestata a Salvatore Giuliano e a Nunzio Scalisi la tentata estorsione ai danni dei signori Felicia Cammisuli e Santo Spatola che per l’accusa sarebbero stati minacciati al fine di non pretendere il corrispettivo rappresentato da almeno tre canoni di locazione abitativi a loro dovuti da Nunzio Scalisi, procurando allo stesso un ingiusto profitto patrimoniale con pari danno delle persone offese. Eppure, i coniugi non presentano alcun esposto per bonaria composizione come dichiarato dall’Ispettore Mallia all’udienza del 14 ottobre 2019 che inquadrava eventuali timori dei coniugi nei confronti di Spatola e non di Salvatore Giuliano. La stessa signora Cammisuli in sede d’esame nega di avere subito minacce.
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