Concludiamo oggi il nostro viaggio a puntate a bordo del carrozzone della sanità siciliana, analizzando quanto emerso dalla relazione della commissione parlamentare antimafia all'Ars che ha setacciato la sanità. Qui la prima puntata, qui la seconda, qui la terza.
E oggi chiudiamo con i due "principi" della sanità siciliana, finiti nei guai giudiziari nei mesi scorsi. I manager infedeli di "sorella sanità".
LE ‘MASCHERE’ DAMIANI E CANDELA – Torniamo all’inchiesta “Sorella sanità” in cui è stato coinvolto, tra i molti altri, anche Fabio Damiani ex manager dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani. Scriveva Pirandello che, nel lungo tragitto della vita, incontreremo “tante maschere e pochi volti”. E maschera è stata anche quella che, per anni, ha indossato Damiani. Paladino indiscusso della legalità e della lotta al malaffare; testimonial per manifestazioni e congressi di qualsiasi tipo e colore; top player per lo scacchiere delle poltrone che contano. Ma anche protagonista di un sistema criminale dedicato a controllare minuziosamente gli appalti della sanità siciliana.
Per costui – così come per i loro sodali – il sipario calò il 21 maggio 2020 quando i primi lanci di agenzia annunciavano la clamorosa inchiesta della Procura di Palermo e del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza. ‘Sorella Sanità’, fu il nome scelto dagli inquirenti, come omaggio – si fa per dire – al nome in codice con il quale veniva chiamato Fabio Damiani: ‘la sorella’, per l’appunto. Un altro elemento folkloristico che si affianca all’epiteto di “capo condominio” (della sanità siciliana n. d. a.) che Antonio Candela, come già accennato in precedenza, si era attribuito per descrivere il suo potere sul sistema sanitario regionale.
DIRIGENTI INFEDELI DA 1,8 MILIONI DI EURO – “Dirigenti pubblici infedeli – si continua a leggere nella relazione – faccendieri, imprenditori e manager aziendali senza scrupoli, per un business illecito che valeva 1,8 milioni di euro”. Una miseria morale in cui continua a precipitare la spesa pubblica in Sicilia, come spiega, senza giri di parole, nella sua ordinanza di applicazione di misure cautelari del 15/05/2020, la Gip (Giudice per le Indagini Preliminari) Claudia Rosini. “Ne emerge un quadro assolutamente allarmante, e quanto mai sconsolante, circa il livello di inquinamento illecito, favorito dall’organizzazione su base regionale e purtroppo clientelare (per quanto emerso dalle indagini) del servizio sanitario pubblico, nel settore degli appalti pubblici della Sanità siciliana, che appare essere affetto, come esattamente rilevato dal P.M., da una corruzione sistemica che permette il conseguimento di ingentissimi illeciti profitti, in danno della qualità dei servizi offerti alla collettività, a beneficio di pubblici amministratori infedeli, faccendieri, ed aziende intente a lucrare il più possibile e con il minore dispendio di energie tecnologiche e professionali.
Al riguardo, merita di essere subito sottolineata la spregiudicatezza con la quale si muovevano i pubblici amministratori ed il linguaggio a volte davvero poco tecnico ma ‘terra terra’ utilizzato dai protagonisti dei dialoghi per parlare delle complesse questioni, ad esempio, di manutenzione di apparecchiature elettromedicali oggetto degli appalti, che pure avrebbero dovuto conoscere, altamente indicativo del livello di professionalità, a quanto è dato evincere alquanto basso, dispiegato nella gestione della sanità della Regione Sicilia da siffatti funzionari”.
E nessuno, come al solito, si è mai accorto di nulla. Un atteggiamento mentale che denota, ancora una volta, come chi avrebbe potuto e dovuto accorgersi e denunciare, anche anonimamente, si sia girato dall’altra parte.
Alessandro Accardo Palumbo
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