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17/11/2021 13:50:00

Posto occupato

 L'approssimarsi della data del 25 novembre - "Giornata internazionale contro la violenza sulle donne" - ha portato ad una particolare impostazione del culto di domenica 14 novembre a MARSALA. nel tempio della chiesa evangelica valdese di Largo Pace ( corso Gramsci). La predicazione, ispirata dal testo di Giudici 19, nonché la conseguente confessione di peccato della comunità riunita, si sono intrecciate con il momento dell'allestimento del "Posto occupato". 

Posto occupato" è un gesto concreto dedicato a tutte le donne vittime di violenza: ciascuna di quelle donne, prima che un marito, un amante, un fratello, uno sconosciuto decidesse di porre fine alla sua vita, occupava un posto a teatro, sul tram, a scuola, in metropolitana, forse anche in una chiesa, nella società. Riservando un posto a quelle donne - anche tra le panche della nostra chiesa - si vogliono mantenere vivi il pensiero e l'attenzione su questo dramma sociale: una sorta di "pietra d'inciampo" che ci costringe a non dimenticare.
BIBBIA – LIBRO DEI GIUDICI – CAP. 19
In quel tempo non c'era re in Israele. Un Levita, il quale abitava nella parte più lontana della regione montuosa di Efraim, si prese per concubina una donna di Betlemme di Giuda. Questa sua concubina gli fu infedele e lo lasciò per andarsene a casa di suo padre a Betlemme di Giuda, dove stette per un periodo di quattro mesi. Suo marito si mosse e andò da lei per parlare al suo cuore e ricondurla con sé. Egli aveva preso con sé il suo servo e due asini. Lei lo condusse in casa di suo padre; e come il padre della giovane lo vide, gli si fece incontro festosamente. Suo suocero, il padre della giovane, lo trattenne ed egli rimase con lui tre giorni; mangiarono, bevvero e pernottarono là. 

Il quarto giorno si alzarono di buon'ora e il Levita si disponeva a partire; il padre della giovane disse a suo genero: «Prendi un boccone di pane per fortificarti il cuore; poi ve ne andrete». Si sedettero ambedue, mangiarono e bevvero insieme. Poi il padre della giovane disse al marito: «Ti prego, acconsenti a passare qui la notte e il tuo cuore si rallegri». Ma quell'uomo si alzò per andarsene; nondimeno, per l'insistenza del suocero, pernottò di nuovo là. Il quinto giorno egli si alzò di buon'ora per andarsene; e il padre della giovane gli disse: «Ti prego, fortificati il cuore e aspettate finché declini il giorno». Si misero a mangiare insieme. Quando quell'uomo si alzò per andarsene con la sua concubina e con il suo servo, il suocero, il padre della giovane, gli disse: «Ecco, il giorno volge ora a sera; ti prego, trattieniti qui questa notte; vedi, il giorno sta per finire; pernotta qui e il tuo cuore si rallegri; domani vi metterete di buon'ora in cammino e te ne andrai a casa». 

Ma il marito non volle passarvi la notte; si alzò, partì, e giunse di fronte a Gebus, che è Gerusalemme, con i suoi due asini sellati e con la sua concubina. Quando furono vicini a Gebus, era quasi notte; il servo disse al suo padrone: «Vieni, ti prego, dirigiamo il cammino verso questa città dei Gebusei e passiamoci la notte». Il padrone gli rispose: «No, non dirigeremo il cammino verso una città di stranieri i cui abitanti non sono figli d'Israele, ma andremo fino a Ghibea». Disse ancora al suo servo: «Andiamo, cerchiamo di arrivare a uno di quei luoghi e pernotteremo a Ghibea o a Rama». Così passarono oltre e continuarono il viaggio; e il sole tramontò quando erano presso Ghibea, che appartiene a Beniamino. Volsero il cammino in quella direzione, per andare a pernottare a Ghibea. Il Levita andò e si fermò sulla piazza della città; ma nessuno li accolse in casa per la notte. Quando ecco un vecchio, che tornava la sera dai campi, dal suo lavoro; era un uomo della regione montuosa di Efraim, che abitava come forestiero a Ghibea, in mezzo ai Beniaminiti. Il vecchio alzò gli occhi, vide quel viandante sulla piazza della città e gli disse: «Dove vai, e da dove vieni?» Quello gli rispose: «Siamo partiti da Betlemme di Giuda e andiamo nella parte più remota della zona montuosa di Efraim. Io sono di là ed ero andato a Betlemme di Giuda; ora sto andando alla casa del SIGNORE, ma nessuno mi accoglie in casa sua. Eppure abbiamo paglia e foraggio per i nostri asini e anche pane e vino per me, per la tua serva e per il giovane che è con i tuoi servi; a noi non manca nulla». Il vecchio gli disse: «La pace sia con te! Mi incarico io di ogni tuo bisogno; ma non devi passare la notte sulla piazza». Così lo condusse in casa sua e diede del foraggio agli asini; i viandanti si lavarono i piedi, mangiarono e bevvero. Mentre stavano rallegrandosi, ecco gli uomini della città, gente perversa, circondarono la casa, picchiarono alla porta e dissero al vecchio, al padrone di casa: «Fa' uscire quell'uomo che è entrato in casa tua, perché vogliamo abusare di lui!» Ma il padrone di casa, uscito fuori, disse loro: «No, fratelli miei, vi prego, non fate una cattiva azione; dal momento che quest'uomo è venuto in casa mia, non commettete quest'infamia! Ecco qua mia figlia che è vergine, e la concubina di quell'uomo; io ve le condurrò fuori e voi abusatene e fatene quel che vi piacerà; ma non commettete contro quell'uomo una simile infamia!» Ma quegli uomini non vollero dargli ascolto. Allora l'uomo prese la sua concubina e la condusse fuori da loro; ed essi la presero, abusarono di lei tutta la notte fino al mattino; poi, allo spuntar dell'alba, la lasciarono andare. Quella donna, sul far del giorno, venne a cadere alla porta di casa dell'uomo presso il quale stava suo marito e rimase lì finché fu giorno chiaro. Suo marito, la mattina, si alzò, aprì la porta di casa e uscì per continuare il suo viaggio, quand'ecco la donna, la sua concubina, giaceva distesa alla porta di casa, con le mani sulla soglia. Egli le disse: «Àlzati, andiamocene!» Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull'asino e partì per tornare a casa sua. Quando giunse a casa, si munì di un coltello, prese la sua concubina e la divise, membro per membro, in dodici pezzi, che mandò per tutto il territorio d'Israele. Tutti quelli che videro ciò dissero: «Una cosa simile non è mai accaduta né si è mai vista, da quando i figli d'Israele salirono dal paese d'Egitto fino al giorno d'oggi! Prendete a cuore questo fatto, consultatevi e parlate».
SERMONE DELLA DIACONA MONICA NATALI
Che orrore, care sorelle e cari fratelli, che orrore! Un racconto pieno di violenza brutale, assurda, gratuita.....perché? Ci può essere una violenza che invece abbia un senso, che abbia uno scopo, peggio, una giustificazione? E Dio? Dov'è Dio? Un testo terribile nella sua crudezza, un testo che ci sgomenta, un testo di fronte al quale pensiamo "non può esserci un PEGGIO oltre a questo". "In quel tempo non c'era re in Israele" (19:1): così inizia il racconto; quasi una giustificazione, quasi un tentativo di spiegare l'inspiegabile, e con le stesse parole si conclude l'intero libro dei Giudici: "In quel tempo non c'era re in Israele; ognuno faceva quello che gli pareva meglio" (21:25). Il racconto si sviluppa in modo graduale e progressivo. All'inizio, quella che sembra una normale dinamica del tempo: un uomo prende per sé una concubina (si tratta in realtà di una traduzione insoddisfacente: la donna è sua moglie), ma le cose non vanno bene; questa lo lascia e torna da suo padre. Sia come sia, in questi primi versetti, la donna - sebbene anonima - è la protagonista: è lei che è infedele al marito, è lei che lo lascia per tornare da suo padre, unica azione autonoma nella sua breve vita! Protagonista apparente perché già incatenata da una logica che la vede passare inevitabilmente dal padre al marito, inevitabilmente schiava di un processo di appartenenza all'una e poi all'altra figura maschile. La donna: non solo anonima ma anche silenziosa; gli unici a parlare nel racconto sono gli uomini. Trascorrono ben quattro mesi prima che il levita si decida ad andare dalla moglie "per parlare al suo cuore" (v.3), dunque per convincerla a tornare con lui. Ma questo non avviene. I versetti seguenti (da 4 a 9) ci descrivono, al contrario, una scena i cui attori esclusivi sono il marito e il padre della donna: non si capisce questa insistenza del padre a trattenerli in casa sua; non si comprende il motivo di questa ospitalità quasi esagerata e forse solo apparente. Segno di un forte rapporto personale tra l'uomo e suo suocero? Forse il padre della donna teme per la sicurezza della figlia e vuole trattenerla il più a lungo possibile in casa sua? Si sta consumando un gioco di forza tra il marito e il padre della donna, una sorta di competizione maschile per il diritto sulla donna? Già...la donna: niente più che un OGGETTO. Non ci viene detto se ella desiderasse tornare dal marito, se il padre l'abbia convinta, o semplicemente sia stato deciso e disposto così, a prescindere dai suoi desideri. Un OGGETTO silente e invisibile. E quando finalmente l'uomo si libera dall'ospitalità del suocero e parte, la donna è appena nominata: "....partì...con i suoi due asini sellati e con la sua concubina"....dopo gli asini! Da questo momento, il racconto comincia a farsi inquietante: l'uomo, messosi in viaggio, si rifiuta di fermarsi in "una città di stranieri i cui abitanti non sono figli di Israele" (19,12) e decide per Ghibea, i cui abitanti sono israeliti, beniaminiti, per la precisione! Dunque un luogo ritenuto sicuro, e invece, nessuno li accoglie! L'unico personaggio timorato di Dio - il quale, almeno, pratica l'ospitalità! - è un uomo anziano che accoglie il levita con tutto il suo seguito: il servo, gli asini....e la donna; timorato di Dio che però, di fronte all'intimazione da parte degli abitanti della città di consegnargli il levita per abusare di lui (l'atto omosessuale, nella cultura di allora, era una pratica che mirava alla completa umiliazione di chi la subiva), non ha niente di meglio che offrire, al posto dell'uomo, la propria figlia e la concubina del levita! aggiungendo pure le parole "...fatene quel che vi piacerà" (19:24). " ....Allora l'uomo prese la sua concubina e la condusse fuori da loro; ed essi la presero, abusarono di lei tutta la notte fino al mattino; poi, allo spuntar dell'alba, la lasciarono andare. Quella donna, sul far del giorno, venne a cadere alla porta di casa dell'uomo presso il quale stava suo marito e rimase lì finché fu giorno chiaro. Suo marito, la mattina, si alzò, aprì la porta di casa e uscì per continuare il suo viaggio, quand'ecco la donna, la sua concubina, giaceva distesa alla porta di casa, con le mani sulla soglia. Egli le disse: «Àlzati, andiamocene!» Ma non ebbe risposta. Allora il marito la caricò sull'asino e partì per tornare a casa sua." (v.25-28)
L'orrore della scena è totale e assoluto: abbandonata da suo padre, tradita dal marito, oggetto di una orrenda violenza di gruppo, la donna è intrappolata in un mondo di maschi. E tuttavia, non ha altra scelta se non tornare da quel marito che l'ha consegnata ai suoi aguzzini, quel marito che, il mattino seguente, aprendo la porta, quasi inciampa nel suo corpo...peggio di così?! Il levita non sa se sua moglie è viva o morta e nemmeno noi che leggiamo il racconto lo sappiamo! Il racconto ci dice soltanto che la donna non risponde: probabilmente è morta ma questa INCERTEZZA aumenta l' ORRORE. Nessun buon samaritano si accosta alla donna per prestarle un primo soccorso. Nemmeno suo marito la soccorre: i bisogni della donna restano anch'essi invisibili. La donna viene caricata sull'asino come un sacco di patate, senza la benché minima emozione da parte dell'uomo. Come se non bastasse... "Quando giunse a casa, si munì di un coltello, prese la sua concubina e la divise, membro per membro, in dodici pezzi, che mandò per tutto il territorio d'Israele" (v.29). Un atto inutilmente brutale! Perchè? Un modo per chiamare a raccolta gli israeliti? Usando il cadavere della moglie come fosse un animale sacrificale? Il corpo della donna, dato quella notte al gruppo di uomini per essere violentato, ora è dato - in pezzi - a tutto Israele. Il levita si comporta da uomo offeso nel suo onore: come se il vero oltraggio subìto sia l'ospitalità negata a lui e non lo stupro e l'assassinio della moglie. E sarà questo il pretesto per una guerra civile, per altri stupri ed assassinii. "Ognuno faceva quello che gli pareva meglio": forse che quando gli esseri umani fanno ciò che par loro meglio, violenza e caos sono inevitabili? Care sorelle e cari fratelli, le pagine dell'Antico Testamento su cui stiamo riflettendo, ci parlano di un periodo storico che è il risultato di un'epoca di progressivo deterioramento della vita comunitaria di Israele, di degrado, di disordine della struttura sociale. L'unico possibile risultato sembra essere questa orribile violenza: la violenza contro la donna del nostro racconto è correlata alla perdita di ogni pudore e di ogni ordine tra gli israeliti. La violenza contro le donne, allora come oggi, testimonia il malessere di una società, malessere che si manifesta negli ABUSI sulle donne. Il libro dei Giudici non ha certo una buona reputazione all'interno della tradizione cristiana, è un libro scomodo, motivo di imbarazzo - con tutte queste violenze, assassinii, guerre - spesso dunque ignorato dalla chiesa contemporanea, "liquidato" come insieme di "testi del terrore" che poco o nulla hanno da dirci e predicarci.
Noi, lettori contemporanei di questi testi particolari, molto sbrigativamente possiamo rischiare di bollare la Bibbia come "libro violento", operazione più facile che non riconoscere la CONTEMPORANEITA' della storia, che è poi la CONTEMPORANEITA' del peccato. Gli antichi israeliti erano arroganti e violenti? Anche NOI lo siamo. Le violenze e gli abusi sulle donne sono un fatto del passato? NO: violenza e abusi sulle donne sono una realtà OGGI come ALLORA. Nei giorni che verranno - in prossimità del 25 novembre - saremo portati e portate a riflettere su questo tema, ma lo faremo soprattutto in termini sociali, politici, psicologici; il libro dei Giudici ci invita a farlo anche in termini teologici: sì, perché libri e racconti come questo, stanno lì a testimoniare che qualunque istituzione, qualunque atteggiamento, qualunque scelta che incoraggi la disubbidienza a Dio, l'allontanamento dalla sua Parola, l'idolatria, può alimentare contemporaneamente l'ingiustizia e le lacerazioni umane più profonde. E sono "campanelli di allarme" che ci suggeriscono di "leggere" le storie di violenza sulle donne anche come storia delle istituzioni dominate dai maschi, istituzioni che affondano le radici in culture fortemente patriarcali. Ma la prima inquietante domanda resta ancora là, aperta: Dio, dov'è? L'ASSENZA di Dio in questa orrenda vicenda è, in fondo, l' ASSENZA della donna in quanto persona - ne è presente solo il corpo, ridotto a semplice oggetto - il SILENZIO di Dio è, in fondo, il SILENZIO della donna. Mi piace pensare che la DONNA di questo racconto - silenziata, abusata, uccisa, fatta a pezzi - sia DIO stesso; non sarebbe né la prima né l'ultima volta che Dio viene silenziato e ucciso. Ma Dio ha voluto che questo orrendo racconto facesse parte delle Scritture. Perché? Chiediamocelo, sorelle e fratelli cari, chiediamocelo. Forse anche proprio solo per costringerci a riflettere su tanto orrore e dolore. "Ognuno faceva quello che gli pareva meglio".
Forse un racconto così tremendo, fissato nelle Scritture, a disposizione per essere letto, rappresenta un appello perenne al pentimento: appello che tenta di trovare un'alternativa, una via d'uscita alla spirale cieca di una violenza simile; la FEDELTA' al PATTO è questa via d'uscita. Il Signore Dio di Israele vuole mostrare al suo popolo che solo la fedeltà al suo patto, solo la fedeltà a lui genera pace e vita. Ma, se ognuno fa quello che gli pare meglio, cioè si allontana da quel patto, si allontana dalla pace e dalla vita che quel patto promette e rappresenta. Appello al pentimento ma pure speranza: sì, perché anche in una situazione così drammatica, quando si pensa di aver toccato il fondo, la storia della relazione di Dio col suo popolo non è finita. Dio continua, instancabilmente fedele, a rispondere a un popolo a lui cocciutamente infedele. Questa è la misericordia divina, questa è la buona notizia, questa è la grazia: ma non una GRAZIA a buon mercato! Essa esige la risposta della nostra intera vita; vita da consacrare al Signore, Dio di Israele e Dio di Gesù Cristo: che poi significa, adorare e servire quel Signore soltanto, che poi significa essere discepoli e discepole di Cristo soltanto. Il cuore del messaggio evangelico è una promessa di vita - e non di morte - una promessa di giustizia - e non di violenza - una vita "piena e in abbondanza", piena di dignità, diritti e cittadinanza; una vita che ci è stata donata ma che va ACCETTATA e ACCOLTA, rinunciando a servire e a venerare qualcun altro, idoli che occupano il posto riservato a Dio. Care sorelle e cari fratelli, in un mondo pieno di tentazioni idolatriche, sapremo adorare e servire Dio soltanto? La donna del nostro racconto, abusata e dilaniata, è tutt'oggi "lettera vivente" che ci interroga e attende risposta. Amen 

Monica Natali - diacona della Chiesa Valdese