Abbiamo scherzato: per la Trattativa sono stati quasi tutti assolti
Trattativa Stato - mafia. In Appello cambia tutto.
La Corte d’Assise d’Appello di Palermo ha assolto, nell’ambito del processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e il senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato. Dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca. Pena ridotta al boss Leoluca Bagarella. Confermata la condanna del capomafia Nino Cinà.
Nel processo davanti alla Corte d’assise d’Appello sulla trattativa tra Stato e Mafia l’accusa aveva chiesto la conferma delle condanne emesse in primo grado: 12 anni di reclusione per il generale Mario Mori e il generale Giuseppe Subranni, l’ex senatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, e il medico mafioso Nino Cinà, 8 anni per l’ex capitano dei Carabinieri, Giuseppe De Donno e ventotto anni per il boss mafioso Leoluca Bagarella. La Corte d’Assise d’appello ha, invece, dichiarato prescritto il reato di calunnia contestato a Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso palermitano Vito, in primo grado condannato a otto anni.
VENTI ANNI DI DUBBI. Il caso era iniziato a emergere nel 1998, quando la Procura della Repubblica di Firenze aprì un’inchiesta sulla Trattativa, alla luce delle dichiarazioni di Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi e Vito Ciancimino. Poi, nel 2009, le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sul “papello” con le richieste di Riina per far cessare le stragi. Infine il processo ai dodici imputati. L’ex ministro Calogero Mannino è stato assolto con sentenza definitiva. E l’assoluzione definitiva è arrivata, nel frattempo, anche anche per l’ex ministro Nicola Mancino.
Secondo la Procura di Palermo, allora rappresentata dal pm Nino Di Matteo, mentre la mafia uccideva magistrati, carabinieri, cittadini, uomini delle istituzioni cercarono un contatto: sono diventati il canale che ha consentito a mafia e Stato di sedersi a un tavolo. E trattare. Su due piani: prima per interrompere il periodo stragista e poi per avere rapporti diretti col governo allora guidato da Silvio Berlusconi.
In primo grado furono riconosciuti tutti colpevoli del reato di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato. Hanno cioè intimidito il governo con la promessa di altre bombe e altre stragi se non fosse cessata l’offensiva antimafia dell’esecutivo. Anzi degli esecutivi, cioè i tre governi che si sono alternati alla guida del Paese tra il giugno del 1992 e il 1994: quelli di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi alla fine della Prima Repubblica, quello di Silvio Berlusconi, all’alba della Seconda.
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