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03/09/2021 06:00:00

Quello che non ho chiesto a Fabio Concato, a Partanna

 Mercoledì scorso sono andato all’anfiteatro “Lucio Dalla” di Partanna, a vedere il concerto di Fabio Concato, uno dei grandi della musica italiana che certo non ha bisogno di presentazioni.

Mi occupo raramente di spettacoli, ma dato che amo le sue canzoni, questa è stata un’occasione per unire l’utile al dilettevole.  Per carità, con Green pass, mascherina e distanziamento.

Nessuna foto. Nessun video dei pezzi più popolari, con la gente che cantava da dietro la mascherina. Nessuna intervista, figuriamoci, so bene quanto non le piacciano.

Ho soltanto preso appunti. Non in un tablet o su uno smartphone, ma in un taccuino, alla vecchia  maniera.

Considerazioni, riflessioni e pensieri che riporto qui di seguito, in ordine sparso.

 

-          Devono ancora abbassare le luci. Il sindaco di Partanna va dietro le quinte seguito da colleghi giornalisti e fotografi. Interviste nel backstage? Difficile. E se dovesse cambiare idea? Vado anch’io? E che gli chiedo? Com’è cambiato il panorama musicale italiano? Che probabilità hanno le canzoni di oggi di essere ricordate quarant’anni dopo? Gli chiedo della ripartenza, dopo più di un anno di Covid?  No. Rimango seduto, settore E, fila 8, posto 4.

 

-          Sono senza cuscino sul duro cemento dell’anfiteatro. E senza giacchetta.

 

-          “Musico ambulante” è il titolo del tour e del suo ultimo doppio cd che contiene i suoi più grandi successi e l’inedita “L’Umarell”. Ma “Musico ambulante” arriva anche da “Troppo vento”, uno dei brani dall’album “Scomporre e ricomporre” del 1994: “Tutto calcolato, tutto programmato, il lavoro, la casa, il futuro…  così sei tu. Ma io, musico ambulante, vorrei stare in cento case o in un motel…”.

 

-          Ottimi musicisti. Gente davvero in gamba. I Musici: Gabriele Palazzi Rossi alla batteria, Ornella D’Urbano al piano e tastiere, Stefano Casali al basso e Larry Tomassini alla chitarra. Con i loro arrangiamenti, sono riusciti quasi a non farci accorgere che mancava il sax.

 

-          Brutto imprevisto: si scarica la batteria del microfono, proprio nel quarto finale di “Gigi”, il brano a cui Concato è più affezionato, quello dedicato al padre.

 

-          “051/222525” è stato eseguito in modo davvero magistrale. Il pezzo, dell’89, prende il nome dal numero del Telefono Azzurro a quell’epoca. E parla delle violenze ai bambini: “… Ma per Dio, di là c'è un altro bimbo uguale che ha bisogno di sognare, magari un padre un po' diverso che lo porti un’altra volta al mare”.

 

-          Concato sa essere divertente. Tra una canzone e l’altra, per “spaventare” il pubblico, dice che ci sarà un approfondito dibattito su diversi temi di attualità, annunciando tempi lunghissimi.

 

-          Tra una canzone e l’altra fa diverse riflessioni, è autoironico, si sorprende a sparare “minchiate” che, pensandoci bene, minchiate non sono. E poi parla dell’esistenza degli artisti, ridotta alle visualizzazioni sul web. Penso che sia così anche per i giornali, che vanno avanti con foto e titoli ad effetto per aumentare i propri click. Spesso senza approfondimento, senza scarpe consumate, senza rischio.

 

-          Questo Casali (il bassista) è una forza.

 

-          Con i baffetti e i capelli scompigliati dal vento, Concato sembra Einstein. E se l’essere geni si misura dall’armonizzare cose che tra loro sembrano non avere niente in comune, lui lo è: ha messo insieme pop, jazz e poesia.

 

-          Domanda che non gli farò mai, dato che non gli piacciano le interviste: “C’è una canzone che odia?”. Ecco, gli darei del lei. Sì, perché questa cosa di dare per forza del tu ai cantanti di successo non mi è mai piaciuta. Mi suona troppo da privilegiati del backstage.

Chissà, magari c’è una canzone che oggi non riconoscerebbe  più come sua, ma  i suoi fan non riuscirebbero mai a rinunciarci. Guccini aveva cominciato ad odiare “L’avvelenata”, per esempio.

 

-          E’ un peccato che non abbia cantato “L’Umarell”. Lo so, è in dialetto milanese. Ma è bellissima. Ed io ho una soluzione per i futuri concerti fuori dalla Lombardia: ad un certo punto Concato potrebbe suggerire a chi non conosce il dialetto di scaricarsi la traduzione del testo dal web. E mentre canta, spegnere le luci sul palco e guardarsi tutte le facce illuminate.

 

-          Da anni scrivo di mafia, latitanti, corruzione, inquinamento… A volte mi capita di pensare che “vorrei scappare da questo inferno che non può cambiare più”, come dice Concato in un pezzo del ’92. Poi penso che forse basta soltanto sostituire la batteria, come col microfono.

 

-          Freddo. La prossima volta non devo scordarmi la giacchetta.

 

Egidio Morici



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