La crisi economica inizia nel 2010. Ad oggi, la disoccupazione tocca il 15%. Il 30% in alcune città. La pandemia ha provocato la contrazione del PIL del 9% e ha fatto aumentare il rapporto debito/PIL al 91%. Tunisi ha bisogno di un prestito di 4 miliardi di dollari che il Fondo Monetario Internazionale potrebbe accordare purchè vengano rispettate alcune condizioni, quali alcune riforme strutturali che cambino l’economia, come il taglio dei sussidi statali e dei salari pubblici.
A queste condizioni il FMI, infatti, ha affermato di impegnarsi nel sostegno al Paese “di fronte a pressioni socio-economiche eccezionali”. Inoltre, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica, 1/3 dei giovani è senza lavoro e 1/5 della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La crisi pandemica e la minaccia terroristica, inoltre, hanno colpito il turismo tunisino che contribuisce alla formazione dell’8% del PIL ed è fonte di valuta estera.
Per queste ragioni, secondo alcuni gli eventi di luglio sono solo una continuazione di una crisi, a volte più latente, che non è stata mai risolta. Forse, però, la peggiore a partire dal 2013, quando si rischiò il rovesciamento della democrazia. Ma si tratta anche di una delle maggiori sfide alla stessa Costituzione del 2014, ancora in vigore, con cui si stabilì, tra l’altro, la condivisione del potere esecutivo tra il capo del governo e il presidente della Repubblica. Composto da personalità indipendenti come esperti, dirigenti, accademici, ex amministratori di società private, il governo tecnocratico di Mechichi aveva ottenuto l’approvazione del Parlamento il 2 settembre 2020. Tuttavia, a causa della crisi, l’allontanamento tra i capi di Stato, tra il governo e il Parlamento ha continuato senza sosta.
I manifestanti sono scesi in piazza per protesta innumerevoli volte, l’ultima il 25 luglio, a dimostrazione del sentito malcontento popolare. Il Movimento del 25 aprile, inoltre, richiede la fissazione di una data per le elezioni anticipate. Tra gli slogan, “il popolo vuole lo scioglimento del Parlamento”. I manifestanti chiedono il perseguimento dei responsabili del deterioramento della situazione sociale, economica e sanitaria. Sui social, è stato documentato l’assalto alla sede del partito di Ennahda nella provincia sud-occidentale di Tozeur. Nella provincia di Kairovan, invece, gli scontri sono stati riportati dai media locali. Molte anche le proteste presso la sede dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo a Tunisi e in città come Sousse, Tozeur e Nabeul. Saied non esclude il ricorso ad altre misure nonostante la sua espressa volontà di evitare ulteriori spargimenti di sangue.
“È ora che i partiti responsabili del degrado si assumano le proprie responsabilità”, pensano i sindacati. La federazione Ugtt (un tempo parte del quartetto premiato con il Nobel) sostiene la conformità alla Costituzione delle scelte prese dal presidente. In queste, vi vede il perseguimento del processo democratico e il ristabilimento dell’equilibrio nel Paese. L’alleato di governo, Qalb Tounes, ha definito la mossa del presidente “una grave violazione della Costituzione e delle disposizioni dell’articolo 80” e ha invitato il capo di governo a prendersi carico di funzioni legittime per non creare un vuoto nella presidenza del governo.
Dalla comunità internazionale, invece, l’Unione europea e la Casa Bianca, così come i Paesi del Golfo, chiedono il rispetto della democrazia e la fine delle violenze. La Commissione europea fa sapere che Palazzo Berlaymont “segue con attenzione gli ultimi sviluppi. Chiediamo a tutti gli attori di rispettare la Costituzione, le istituzioni e lo Stato di diritto”.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, afferma che Mosca sta seguendo quanto sta accadendo in Tunisia, “certamente auspichiamo che nulla minacci la stabilità e la sicurezza delle persone in questo Paese”: Dagli USA, il consigliere per la Sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, spera che venga ritrovata quanto prima la “via della democrazia” e ha esortato Saied a un ritorno verso un cammino democratico e la salvaguardia dei diritti e delle libertà.
Una nota della Farnesina, invece, afferma che “l’Italia esprime altresì preoccupazione per la situazione e per le sue potenziali implicazioni e rivolge un appello alle istituzioni tunisine affinchè venga garantito il rispetto della Costituzione e dello Stato di diritto. In un momento in cui la crisi politico-economica nel Paese è esacerbata dal recente deterioramento del quadro epidemiologico, l’Italia conferma il proprio sostegno a favore della stabilità politica ed economica della Tunisia e ribadisce la propria sincera vicinanza all’amico popolo tunisino”. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, spera in un ristabilimento “nell’argine democratico degli strumenti che hanno a disposizione le Istituzioni e il popolo tunisino”. Il 4 agosto, invece, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha avuto una conversazione telefonica con Saied a proposito di sviluppi politico-istituzionali nel Paese, della necessità di ristabilire l’ordine costituzionale, della gestione dei flussi migratori e dell’assistenza offerta dall’Italia alla Tunisia.
L’ONU, d’altra parte, chiede moderazione, astensione dalle violenze e garanzia che la situazione rimanga calma. Il suo portavoce, Farhan Haq, ha espresso sgomento circa la notizia di un raid da parte delle forze di sicurezza nella sede di Al Jazeera di Tunisi. “Auspichiamo che tutti i giornalisti, compresi quelli di al-Jazeera, possano svolgere il loro lavoro senza subire maltrattamenti”. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, invece, sono intervenuti per far fuori Ennahda, poiché vicino a Fratellanza musulmana, supportata dalla Turchia di Erdogan, dal Qatar e dai “fratelli” di Hamas che dominano la Striscia di Gaza, e per sottrarre ad Ankara l’influenza decisiva sul Paese. “Sui social network c’è una campagna di sauditi ed emiratini contro l’islam politico, che ci fa domandare quanto Riyadh e Dubai siano coinvolti nelle vicende tunisine”, ha affermato Mar Owen Jones, professore dell’università Hamad Bin Khalifa di Doha. Da Ankara, poi, arrivano le prime condanne del golpe da parte del partito Akp e il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, conferma il sostegno a tutto ciò che è nell’interesse del popolo tunisino.
Secondo il giornalista e analista internazionale, Dario Fabbri, ciò che potrebbe succedere all’Italia è decisivo: “una volta eravamo noi ad imporre i fatti in Tunisia, l’ultimo dittatore tunisino ce l’avevamo messo noi con un nostro golpe all’epoca. Adesso lo fanno gli altri. Noi contiamo talmente poco nel nostro che sauditi ed emiratini si giocano l’influenza con i turchi, pagati dal Qatar, e noi possiamo fare altro che stare a guardare”.
Inoltre, ricorda che la democrazia è sempre più sbiadita. “Se la Turchia si indebolisce in Tunisia per noi non è un dato negativo, tutt’altro. I turchi dominano in Libia soprattutto in Tripolitania dove noi siamo formalmente alleati della Turchia, che sta lì con i soldi del Qatar. Ecco diciamo che se Erdogan subisce un rovescio non tutti piangono a Roma nei palazzi dei nostri apparati”.
Il ruolo giocato dall’Italia sul piano economico è importante per le sorti del Paese tunisino: suo secondo partner commerciale, nel 2020 era il secondo mercato di destinazione dell’export tunisino con una quota del 15,2% e il secondo fornitore con quota 14,1%. Le aziende italiane si concentrano nell’area della Grande Tunisi e delle regioni costiere, dove vi sono più di 800 società con oltre 68mila lavoratori e rappresentano 1/3 delle imprese a partecipazione straniera.
La crisi economica tunisina potrebbe creare un aumento di flussi migratori verso l’Italia. Gannouchi ritiene, infatti, che se la situazione dovesse continuare in tali termini 500mila potenziali tunisini sarebbero pronti a raggiungere le coste italiane. Vi sono, dunque, preoccupazioni a nord del Mediterraneo per le questioni di sicurezza e la lotta al terrorismo con il dossier tunisino interconnesso a quello libico, egiziano, marocchino e algerino. Come affermato da Fiorenza Sarzanini, giornalista e vice direttrice del Corriere della Sera, gli sbarchi in Italia quest’anno, secondo i dati del ministero dell’Interno risalenti al 3 agosto, sono stati 29.968, a partire da gennaio. Nel 2020, invece, le partenze erano rallentate a causa del periodo di lockdown, nonostante, dalla Tunisia, gli sbarchi autonomi siano sempre giunti. Il Viminale, inoltre, sta cercando di lavorare per fare accordi sulla gestione dei flussi e per fermare l’offensiva di Salvini e la sua continua ed eterna campagna elettorale giocata sulla pelle dei più deboli.
Se, da un lato, Mechichi urla “viva la Tunisia, libera sempre e gloria al suo popolo”, dall’altro, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ricorda come l’incompletezza della transizione alla democrazia stessa abbia portato dei danni gravi ai diritti umani, quali l’impunità delle forze di sicurezza, leggi di contrasto al terrorismo dietro le quali sono stati insabbiati abusi, e una forte e inaccettabile intolleranza verso le voci critiche. Una volta al potere, i partiti di ispirazione musulmana hanno adottato una strategia reazionaria servendosi della repressione degli spazi di laicismo e libertà. Il presidente Saied, infatti, sa che il futuro della democrazia è giocato sulla repressione del dissenso e della libertà di informazione (è anche qui che ha origine la preoccupazione di molti per la chiusura della sede tunisina di Al Jazeera).
Come affermato dal giornalista Lorenzo Cremonesi, secondo i sondaggi, l’84% del popolo tunisino sarebbe incline al colpo di Stato. A favorirne il sostegno è la figura dello stesso capo dello Stato: Saied, infatti, è estraneo al panorama politico tunisino, è un professore di legge, ha collaborato alla stesura della Costituzione del 2014, non ha mai preso parte in nessun partito politico, ha vinto senza rivali nel 2019 ed è inattaccabile dal punto di vista personale. Il consiglio direttivo del partito islamico Ennahda chiede l’accelerazione del ritorno a una situazione di normalità costituzionale, oltre alla revoca della sospensione del Parlamento. A questo proposito, si dice pronto a una interazione per il superamento degli ostacoli e al dialogo con le parti nazionali.
I regimi autoritari, sempre più fermamente, riescono ad affermarsi anche a causa di un inaccettabile vuoto politico. Talvolta, infatti, la strada è spianata dal momento che non ci sono parti né opposizioni pronte a fermarli. Nessuno è estraneo al futuro della democrazia tunisina e alla tutela del suo Stato di diritto. Ne vanno di mezzo intere vite umane.
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