La banda dell'escavatore o del bancomat, anzi le bande di criminali, che in sinergia tra di loro, dal luglio 2019 a febbraio 2020 hanno messo a segno cinque colpi tra Marsala, Trapani e Catania, agendo in dieci minuti e senza lasciare traccia, sono state fermate venerdì scorso con l’operazione “Jammer” condotta dagli agenti delle Squadra mobile di Trapani e Catania e del commissariato di Marsala e culminata nell'arresto di 19 persone, proprio tra Marsala, Trapani e Catania, e nella denuncia di altre 22 persone. Per le persone fermate le accuse sono: associazione a delinquere, furto, danneggiamento aggravato, simulazione di reato. Cinque gli assalti, eseguiti tutti con lo stesso modus operandi.
I nomi di tutti gli arrestati - Catanesi, trapanesi e marsalesi. Tutti insieme per formare la banda del bancomat. Tre bande ben organizzate e collegate tra di loro. Una operava a Marsala, una a Trapani, l'altra a Catania. Questi i nomi delle persone destinatarie delle misure cautelari. In carcere finiscono: Massimiliano Gaspare Salafia, nato ad Erice classe 77; Antonino Anselmo, Trapani 63; Andrea Tropea, Acireale 88; Alessandro Valentino Longo, Catania 78; Concetto Mannuccia, Catania 84, Antonino Viglianesi, Catania 79; Isidoro Salvatore Rallo, Marsala 66. Arresti domiciliari per: Giuseppe Di Dio, Erice 59: Rosario Maisano, Erice 78; Gaetano Barbera, Trapani 44; Bartolomeo Rallo, Marsala 92; Fabio Vincenzo Licari, Marsala 75; Salvatore Domenico Zerilli, Erice 70; Fabrizio Stabile, Marsala 92. Obbligo di soggiorno nel comune di residenza per Pietro Maisano, Erice 73; Maria Barbera, Trapani 75; Francesco Mancuso, Erice 89; Domenico Savalla, Marsala 96. Tra gli indagati, per il quale, non è stata disposta alcuna misura cautelare il marsalese Aldo Cosimo Vinci, classe 68.
Il patto tra le bande - Un “Patto d'acciaio” tra trapanesi, marsalesi e catanesi con quest'ultimi professionisti della “spaccata” - così vengono chiamati in gergo i furti delle casseforti Atm con l'utilizzo di escavatori o materiale esplosivo - che pianificavano gli assalti ai bancomat, contando, però, sul supporto logistico degli alleati che mettevano a disposizione uomini e mezzi per perpetrare i colpi ai danni di uffici postali e banche. Tre bande ben organizzate e collegate tra di loro. A Trapani operavano Massimiliano Gaspare Salafia, Antonino Anselmo, Giuseppe Di Dio, Pietro Maisano, Rosario Maisano, Gaetano Barbera, Maria Barbera, Francesco Mancuso, Domenico Salvatore Zerilli. A Catania, Andrea Tropea, Alessandro Valentino Longo, Concetto Mannuccia e Antonino Viglianesi. A Marsala, Isidoro Salvatore Rallo, Bartolomeo Rallo, Vincenzo Fabio Licari, Aldo Cosimo Vinci, Fabrizio Stabile, Domenico Savalla,
Cinque i colpi messi a segno - La prima incursione, risale al 10 luglio del 2019. Nel mirino lo sportello della Banca Intesa di Contrada Paolini a Marsala. La seconda, invece, il 31 agosto, ai danni del Credito Valtellinese di contrada Xitta, alle porte di Trapani. Sempre a Marsala altri due colpi: alla banca Toniolo e alla filiale delle Poste. Il quinto raid, datato 19 febbraio 2020, ha interessato il Credito Siciliano di Trecastagni nel Catanese. Bottino complessivo, 225 mila euro di cui 74 mila recuperati nel corso delle indagini. Indagini che hanno consentito agli agenti della Squadra mobile di individuare tre bande: una composta da pregiudicati marsalesi, una da trapanesi e la terza da catanesi. Quest'ultimi che agivano con procedure di approccio di tipo militare, mettevano a disposizione la propria expertise nell’esecuzione materiale dell’assalto agli altri due sodalizi.
Professionisti e modus operandi - I “professori” erano i catanesi. Loro fornivano le dritte e istruivano i “colleghi” trapanesi e marsalesi, su come assaltare i bancomat. Tre bande ben organizzate che prima di mettere a segno i “colpi” rubavano escavatori e altri mezzi pesanti che servivano per perpetrare le incursioni ai danni di banche e uffici postali. Gli escavatori venivano utilizzati per scardinare le postazioni. I mezzi pesanti, invece, per caricarli e trasportarli in luoghi appartati dove i bancomat venivano ripuliti. Professionisti che disponevano di bombole contenente ossigeno, che venivano utilizzate per bloccare l’attivazione del meccanismo di macchiatura delle banconote e di disturbatori di frequenze “Jammer” impiegati, invece, per inibire il funzionamento di cellulari e dispositivi Gps durante gli assalti. Tutto veniva pianificato, senza lasciare nulla al caso.
L’assalto in 10 minuti - L'operazione “quasi” militare per sradicare i bancomat si consumava in 10 minuti. Il tempo che trascorreva dall'arrivo alla fuga. Il catanese Andrea Tropea impiegava solo 5 minuti per sradicare la postazione, manovrando con grande abilità l'escavatore utilizzato per perpetrare i colpi. Assalti pianificati. E' uno dei particolari dell'ordinanza che ieri ha portato all'arresto di una banda che rapinava i bancomat tra Marsala e Trapani. I componenti del commando avevano, ciascuno, un ruolo ben preciso e l'area dove operavano veniva isolata da uomini incappucciati che facevano da palo i quali mettevano sull'asfalto strisce chiodate per bloccare l'eventuale arrivo delle auto delle forze dell'ordine nella zona in cui la banda agiva. Gli inquirenti parlano di “vere e proprie azioni di guerriglia”. I “professionisti della spaccata” si muovevano con precisione chirurgica e dopo aver sradicato lo sportello bancomat lo caricavano sul furgone. Poi la fuga. Il particolare che rivela il livello di professionalità degli indagati. Nel furgone impiegati nel furto ai danni dell'istituto di credito della frazione di Xitta è stata rinvenuta una bomboletta di ossigeno che serviva per disinnescare i cosiddetti “sistemi intelligenti di neutralizzazione delle banconote”.
Il marsalese tradito dalle scottature - A tradirlo sono state le scottature. Domenico Savalla, uno dei componenti della banda marsalese del bancomat, si era recato dai carabinieri per denunciare il furto della sua auto, una Fiat Punto. La vettura, utilizzata nel “colpo” messo a segno ai danni della banca Intesa di Marsala, venne rinvenuta bruciata. Dopo il ritrovamento della macchina, gli investigatori si recarono a casa di Domenico Savalla e notando che presentava delle scottature, lo hanno messo alle strette, fino a farlo crollare. Ad incendiare la Punto era stato lui, simulandone poi il furto. Domenico Savalla ha raccontato di essere stato ingaggiato da Fabrizio Stabile per prendere parte al furto, assieme ad altri cinque soggetti “con accento palermitano e catanese”. Ha anche indicato il luogo dove venne ripulita la cassaforte: una proprietà di Domenico Zerilli. E nell'abitazione di quest'ultimo, a testimonianza che Domenico Savalla non aveva mentito, è stato rinvenuto il flessibile utilizzato per aprire la cassaforte, contenente 72 mila euro.