Torna all’antico splendore, grazie ad un intervento di restauro appena concluso, l’originale Presepe in materiali marini custodito al Museo Pepoli di Trapani .L'opera, realizzata nel '700 dallo scultore trapanese Andrea Tipa (1725-1766), costituisce uno dei pezzi più particolari e originali esposti all'interno del Museo. Agli inizi del XIX secolo il prezioso presepe era custodito nel palazzo nobiliare di Antonio Sieri Pepoli, Barone di San Teodoro, nonno del conte Agostino Pepoli, che lo conservava gelosamente nel salotto di rappresentanza, come uno dei più preziosi gioielli di famiglia.
Il Presepe, un vero e proprio capolavoro dell’artigianato artistico trapanese del Settecento, è un’opera scenografica monumentale in cui concrezioni rocciose, coralli, madreperle, conchiglie si associano a parti scultoree in selenite, il tutto dentro il meraviglioso scenario naturale di una montagna animata da grotte e balze con una straordinaria varietà di rocce, conchiglie e fiori in madreperla e corallo. All’interno dell’opera si inseriscono, con grande plasticità i personaggi che animano il racconto: dal colorito corteo dei Magi con cavalli e cammelli, servitori e valletti, alla scena della Natività, con una Vergine insolitamente semidistesa che offre il seno al Bambino. Nella dinamica raffigurazione si nota in primo piano una caccia al cinghiale con ringhiosi segugi, che coesiste con le delicate movenze di un danzatore moro in abiti esotici, con la cruenta uccisione del maiale e la gustosa scena di genere del gatto che addenta il formaggio, minacciato dal coltello del padrone.
“Ci troviamo – evidenzia l'assessore dei Beni cultrali e dell'Identità siciliana, Alberto Samonà - di fronte a un tipico oggetto da Wunderkammer, la stanza delle meraviglie, dove la natura creatrice e l’artificio umano convivono in modo assolutamente singolare. La pulitura effettuata, rispettosa delle antiche patine, consente oggi di ammirare la naturale lucentezza dei materiali marini e le brillanti e vivaci cromie dei personaggi che erano stati oscurati dal tempo. Non più quindi - prosegue l'assessore Samonà - il presepe spento ed ingrigito dalla polvere accumulatasi da decenni che era esposto nelle teche del museo, ma un presepe totalmente <nuovo> che ha recuperato quell’accensione cromatica e quella ricchezza floreale propria della migliore stagione del Rococò siciliano. Una preziosa occasione per dimostrare l'impegno delle nostre strutture museali di cutodire, mantenere e valorizzare il prezioso patrimonio artistico regionale”.“Lo straordinario manufatto – aggiunge il direttore del Museo Pepoli, Roberto Garufi - è considerata una delle migliori opere dello scultore trapanese Andrea Tipa celebre, insieme al padre Giuseppe ed al fratello Alberto, per la sua abilità nello scolpire “in tenero e in piccolo” i più svariati materiali, dall’avorio all’ambra, dalla pietra incarnata al legno. Propria dell’artista trapanese è l’altissima qualità del rilievo, contraddistinto da un’estrema eleganza di linee e contorni, che si possono cogliere nei profili delicati, nelle barbe e nei capelli dei personaggi, nei loro abiti ricercati, nei mantelli agitati dal vento o nelle gualdrappe arabescate di cavalli e cammelli”.
Il restauro, reso necessario dall'esigenza di effettuare un'attività di ripulitura da troppi decenni rimandata, ha richiesto un consolidamento strutturale degli elementi portanti, il cui cedimento, in parte già in atto, avrebbe potuto irrimediabilmente compromettere la tenuta dell’insieme. L'intervento di restauro è stato accompagnato, inoltre, dal recupero di prezioso materiale fotografico dell'opera che era presente negli archivi e nei depositi del Museo. Dall’esame delle lastre di inizio Novecento è stato possibile documentare con estrema precisione l’antica fisionomia dell’opera e il suo stato di conservazione nella fase immediatamente successiva alla sua musealizzazione. All'interno dei depositi sono stati ritrovati anche, spesso in cattivo stato di conservazione, svariati elementi originali che nel tempo erano stati rimossi dal presepe, come numerosi fiori in corallo e madreperla, foglie, frammenti di parti scultoree. Proprio il raffronto con la documentazione fotografica, si è potuto effettuare un recupero filologico dei materiali che ha consentito di restituire all’oggetto la sua configurazione originaria.
A conclusione dell’intervento si è reso necessario intervenire anche sulle condizioni espositive dell’opera e, in particolare, sul sistema di illuminazione che risultava datato e tecnologicamente inadeguato. Nel rispetto delle scelte espositive operate dall’architetto Franco Minissi, si sono potenziate, infatti, le fonti luminose utilizzando led direzionali che, posti su diversi livelli hanno permesso di garantire una migliore lettura delle numerose scene che compongono l'opera. Il restauro ha visto coinvolto in un lavoro di equipe: Cesare Tinì che ha curato il restauro, Roberto Garufi e Daniela Scandariato che hanno diretto i lavori di restauro e orientato le scelte relative al nuovo allestimento, Maria Concetta Scavone che ha condotto le indagini geologiche sui materiali, Angela Morabito le ricerche storico-iconografiche nell’archivio fotografico e nei depositi, infine Luigi Bruno che ha sviluppato le ricerche malacologiche.