Covid e antifiammatori: una cura semplice, ma efficace. Crollano al 2% i ricoveri in ospedale per Covid, e crollano del 90% i giorni di degenza
Lo dimostra il metodo adottato da Giuseppe Remuzzi (direttore dell'Istituto Farmacologico Mario Negri) e Fredy Suter (ex primario di malattie infettive all'ospedale di Bergamo): aggredire il virus con aspirina, o celecoxib e nimesulide (anziché solo con antifebbrili) nei primi 10 giorni, ancora prima di effettuare il tampone, sarebbe cruciale nel decorso dell'infezione e nell'evitare di finire in terapia intensiva.
Uno studio recente confronta 90 pazienti curati con il "sistema Remuzzi/Suter" e 90 pazienti curati secondo le linee guida ufficiali (paracetamolo più vigile attesa).
In pratica, si tratta di assumere, sotto controllo medico, degli antinfiammatori già al primo sintomo di Covid, senza aspettare il tampone. "Nell'evoluzione della malattia sono cruciali i 10 giorni in cui il virus si moltiplica, che iniziano ancora prima dei sintomi. La moltiplicazione ha un picco dopo 6 giorni, poi scende nei 3-4 giorni successivi, e infine il virus si distribuisce in tutto l'organismo ma smette di moltiplicarsi" spiega Remuzzi a Repubblica "Quei 10 giorni cruciali sono proprio il periodo che si perde se si assumono solo antifebbrili in attesa del tampone, per poi passare a trattamenti specifici con antivirali, cortisone o altri farmaci dopo il risultato del test".
L'approccio Remuzzi-Suter cura i Covid-positivi nel modo in cui si curano tutte le infezioni virali delle alte vie respiratorie: "Cioè con gli antinfiammatori" spiega Remuzzi. "Abbiamo scelto celecoxib e nimesulide, oppure aspirina per chi aveva intolleranza verso questi farmaci. Poi aspettavamo 6-8 giorni, con 4-5 esami a casa del paziente, per avere un'idea della situazione infiammatoria: se si ravvisano segni di infiammazione o di attivazione della coagulazione, il nostro approccio prevede che il medico prescriva cortisone o, eventualmente, eparina".
C' è uno studio che suggerisce come chi è trattato con l'aspirina abbia meno probabilità di andare in terapia intensiva e di essere intubato, oltre a uno studio molto recente secondo cui l'aspirina potrebbe rendere difficile l'ingresso del virus nelle cellule.
Spiega Remuzzi: "Dei pazienti trattati col nostro approccio, solo 2 sono quelli che poi sono stati ricoverati in ospedale. Contro 13 dell'altro gruppo. E abbiamo ridotto del 90% i giorni totali di ospedalizzazione (44 invece di 481), e i costi per il sistema sanitario (28.000 euro invece di 296.000)".