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17/03/2021 06:00:00

Natale Giunta, "Oggi in piazza per dire: apriamo o chiudiamo tutto"

Natale Giunta, chef stellato siciliano, conosciuto in tutta Italia, lei non le manda mai a dire, come sempre. Ha annunciato una protesta contro il lockdown dei giorni di Pasqua, e la manifestazione si svolgerà questa mattina, in piazza a Palermo, davanti al Teatro Massimo.

Sì, una protesta e una manifestazione che ha già molto consenso. Una protesta senza sigle sindacali, senza associazioni di categoria e senza la politica dentro. Una protesta iniziata da me, perché sono convinto che il mio settore è in una situazione emergenziale, non si muore solo di covid. Io prima dormivo sette, otto ore a notte, ora dormo 2/3 ore, la notte giro, ho pensieri e come io tantissime persone. Ci vogliono protocolli seri, capire quando ci saranno le riaperture e quello che si deve fare oppure lockdown totale, non solo per noi, ma per l’intera nazione e soldi subito alle attività. O torniamo a lavorare o chiudiamo tutti, è follia chiudere il nostro settore e poi vediamo le piazze e i negozi d’abbigliamento strapieni di gente. Domenica abbiamo visto tutti, le foto, con posti con migliaia di persone, e poi ristoranti anche all’aperto devono stare chiusi, perché il governo ha deciso di togliere la zona bianca, perché forse nei prossimi quindici giorni ci potrebbe essere un aumento dei casi in Sicilia.

Natale Giunta, l’aprire e chiudere continuamente ha creato non solo il danno economico del momento a voi ristoratori, ma anche a tutta la filiera della ristorazione, perché voi riempite il frigo e la dispensa, ma così facendo c’è un meccanismo economico che si blocca una volta che richiudete.

Il ristorante è la marmitta di scarico finale, prima ci sono le aziende che producono, l’agroalimentare, le aziende vinicole, quelle di formaggi, c’è un mondo dietro i ristoranti. Purtroppo quella gente che detta questa dittatura, perché mi dispiace, ma io parlo di dittatura e di guerra, perché non abbiamo le bombe sul tetto, ma dentro casa, quando ci sono persone che non hanno un euro per comprare un chilo di pasta per i propri figli. Questa è una vera vergogna per un Paese come il nostro. Questa secondo me è una guerra vera, non finta. Chi detta le regole non ha mai lavorato un giorno nella vita, stanno seduti in parlamento e guadagnano venti mila euro al mese, non sanno cosa significa avere un’attività, pagare i dipendenti, fare la spesa, buttare la spesa, pagare gli affitti, i fornitori, le tasse, quella è gente che non capisce. La scelta dell’asporto è servita a mettere dei tappi inutili perché con l’asporto non paghiamo nemmeno le spese dell’energia elettrica, purtroppo ci continuano a prendere in giro. I nostri colleghi dovrebbero finirla di pubblicare foto e video di piatti, o di ricettine, ma dovrebbero metterci la faccia come la sto mettendo io, dopo un anno non possiamo più aspettare, oggi ci vogliono protocolli seri per la riapertura immediata o chiusura per tutti, non solo per noi, e soldi subito per tutti per le perdite registrate.

Giunta, si potrebbe pensare di sospendere la chiusura, magari farvi aprire la domenica di Pasqua?

No, purtroppo non serve a nulla. Il nostro è un lavoro di programmazione, a noi servono regole serie, aperture immediate e diluite, mattina, pomeriggio sera. Fino a qualche giorno prima del governo attuale, c’era qualche senatore che diceva: aperture subito; non appena hanno avuto le poltrone, dicono pazienza. Stanno giocando. Loro hanno capito che gli italiani dimenticano subito, siamo un popolo che non si ribella. Tutti dovremmo ribellarci come sto facendo io. Ci sto mettendo la faccia per tutti. Lo Stato brucia soldi per tutto, tranne per pagare noi. Bruciano miliardi per le mascherine, ma quando si parla di ristorazione soldi non ce ne sono. In Germania un mio collega prende il 75% dell’attività, noi in Italia solo il 2%. I loro stipendi non sono mai stai toccati. Ora c’è Brunetta che sta adeguando lo stipendio degli statali che devono prendere la tredicesima, quattordicesima, il Tfr e tutto, mentre tutti noi invece dobbiamo stare qui senza lavorare.