Reparti covid mai aperti. Mascherine farlocche. Conflitti di interesse. Forniture dai prezzi gonfiati. E’ l’altra faccia dell’emergenza Covid. Quella che vede affaristi e speculatori mettere occhi e mani su una montagna di soldi pubblici destinati ad affrontare la pandemia.
Due miliardi di euro. A tanto ammonta il giro d’affari su cui una ventina di procure, in giro per l’Italia, sta indagando. Sono gli affari del Covid, quelli dettati dall’emergenza, ma che potrebbero nascondere abusi e illegalità.
Da Milano, a Roma, a Napoli alla Sicilia. In un anno di Covid in Italia gli avvoltoi hanno fiutato parecchi affari, come ha raccontato qualche giorno fa Repubblica mettendo assieme alcuni dei fatti più eclatanti. Come i lettini ordinati in Lombardia da Hong Kong ma privi di certificazione. O i 10 milioni di forniture per dispositivi di protezione arrivati solo in parte. E poi il caso dei camici forniti dalla ditta del cognato del governatore Lombardo Attilio Fontana. Una fornitura molto costosa, poi trasformata in “donazione” dopo che si è scoperto il conflitto d’interesse.
Molti affari su cui le procure stanno cercando di far luce riguardano proprio le forniture di dispositivi di sicurezza individuale: guanti e mascherine su tutti. C’è il caso delle mascherine non a norma, comprate dalla struttura commissariale guidata da Domenico Arcuri, su cui indaga la procura di Roma: 1,25 miliardi di mascherine arrivate dalla Cina che avrebbero fruttato oltre 70 milioni di euro di commissione agli intermediari. I faccendieri fiutano l’affare: “Speriamo in un nuovo lockdown” dice uno degli arrestati intercettati.
Sui dispositivi di sicurezza sono state scoperte alcune macroscopiche differenze di prezzo di acquisto tra regioni, per lo stesso prodotto. Come le visiere comprate a 1,40 euro a Reggio Calabria e 12,25 euro a Trapani. O ancora la differenza di prezzo di un respiratore: mille euro a Ferrara, 40 mila a Bologna.
Si indaga anche sulle strutture sanitarie. Le regioni più colpite durante la prima ondata hanno davvero capito cosa significa non avere abbastanza strutture, macchinari e medici, per affrontare una catastrofe chiamata Covid. Le regioni del Sud hanno avuto la fortuna di non essere state travolte dalla prima ondata, e poter capire per tempo come muoversi. In tutta Italia, così, è partita la corsa ai padiglioni, a nuove strutture o reparti all’interno di ospedali dedicati al Covid. Uno dei business certamente più importanti, e che coinvolge più soggetti per il giro di affari.
Emblematico è il caso dell’ospedale temporaneo di Barcellona Pozzo di Gotto, nel Messinese. E' uno dei simboli delle incompiute della sanità in tempo di Covid. Un reparto che d marzo di un anno fa ha avuto letti speciali, monitor moderni, ventilatori polmonari. Tutto nuovissimo e molto costoso, preso a noleggio. Tutto a carico del contribuente. Ma i dieci posti letto della nuova terapia intensiva del Covid Hospital di Barcellona, previsti dal piano regionale, non sono mai entrati in funzione. L'Asp, infatti, ha ristrutturato il reparto e i letti sono rimasti lì nelle stanze vuote. I monitor sono rimasti negli scatoloni. Poi dopo che il caso è scoppiato i letti sono tornati indietro, e i monitor distribuiti agli altri ospedali. Così il Covid Hospital senza rianimazione serviva a ben poco, e i pazienti sono stati dirottati in altre strutture.
Un nulla di fatto. Una macchia sul lavoro del governo regionale siciliano che ancora oggi, ad un anno dall’inizio della pandemia, con una diffusione del virus non catastrofica in Sicilia che permetterebbe un’organizzazione “serena” seppur urgente, sembra navigare ancora a vista.
E’ solo di qualche giorno fa la nota della Regione con cui fa il punto sui progetti nella rete ospedaliera per affrontare l’emergenza Covid.
“Settantanove progetti, 18 dei quali già in cantiere fra cui tre già conclusi e prossimi all'inaugurazione, altri 12 in opera entro fine marzo. Obiettivo, dare alla Sicilia 520 nuovi posti di terapia intensiva e riconfigurare 27 pronto soccorso dotandoli di percorsi separati per i pazienti sospetti Covid”.
La Regione parla di un piano “di potenziamento delle strutture sanitarie siciliane, gestito dalla struttura snella che fa capo al presidente della Regione Nello Musumeci, nelle vesti di commissario delegato, guidata dall'ingegnere Tuccio D'Urso e composta da quattro funzionari regionali” che “va avanti spedito” tanto da fare della Sicilia “la prima regione d'Italia nell'avanzamento del programma di riqualificazione della rete ospedaliera”.
Il Piano riguarda 16 delle 19 Aziende ospedaliere della Regione: il punto d'arrivo è portare a 700 i posti di terapia intensiva complessivamente disponibili nell'Isola e adeguare le strutture dei pronto soccorso. E' prevista una spesa di 240 milioni di euro, provenienti dal Piano nazionale varato dalla struttura commissariale guidata fino a ieri da Domenico Arcuri e da un co-finanziamento della Sanità regionale.
I lavori e le forniture di attrezzature sono affidati a imprese già selezionate con gli “accordi quadro” nazionali della gestione Arcuri, velocizzando così le procedure amministrative.
L'avvio delle attività della struttura di gestione risale al 15 ottobre 2020. «In diciotto cantieri siamo già al lavoro – afferma l'ingegnere D'Urso – entro fine marzo ne apriremo altri 12, entro giugno le opere più semplici saranno concluse e tutti gli interventi previsti saranno avviati. Eccetto due, più complessi, che riguardano l'ospedale Cervello-Villa Sofia di Palermo e che partiranno comunque entro fine anno. Intanto ci sono già i primi interventi in dirittura d'arrivo: le terapie intensive all'ospedale Garibaldi centro a Catania e quelle dell'ospedale Fratelli Parlapiano di Ribera, in provincia di Agrigento.
E poi c'è la vicenda che stiamo denunciando su Tp24 da settimane sul Padiglione Covid di Marsala, che interesserebbe tutta la provincia di Trapani e sarebbe un polo di riferimento per la Sicilia. Ma i lavori del nuovo padiglione di Marsala sono diventati un vero e proprio caso. A Maggio l’assessore regionale Razza a Marsala annuncia che il vecchio ospedale San Biagio sarebbe diventato centro di riferimento Covid in provincia di Trapani. In quel periodo manager dell’Asp era ancora Fabio Damiani, poi arrestato per corruzione (per altri fatti). Passano i mesi, al San Biagio, si scopre, non si può fare nulla: la struttura è troppo malmessa. Si pensa di realizzare, allora, un padiglione Covid dal nulla, proprio accanto all’ospedale Paolo Borsellino, diventato “Covid Hospital”.
Il padiglione di Marsala. Così parlava Zappalà all'inaugurazione dei lavori from Tp24 on Vimeo.
A dicembre c’è la passerella: Razza, altri assessori e politici regionali, il sindaco Massimo Grillo, il nuovo commissario dell’Asp Zappalà, inaugurano i lavori del padiglione. Lavori inaugurati ma mai continuati. Fermi da tre mesi. C’è solo una gru, ferma in cantiere: un costosissimo segnaposto. Un’opera che dovrebbe costare 12 milioni di euro. Quando viene sollevato il caso da Tp24 Zappalà dice che non erano stati inaugurati i lavori e che non c’era ancora un progetto esecutivo. Gli fa eco il sindaco Grillo. E’ stata tutta un’allucinazione collettiva? Per tentare di sviare l’imbarazzo il sindaco promette, ancora: entro il 21 marzo iniziano i lavori. Dice che questa è la volta buona. Che se non succede nulla scende in piazza. Dice.