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20/01/2021 00:00:00

Strage di Pizzolungo. Il giudice Palermo: "Installate l'auto distrutta al Palazzo di Giustizia di Trapani"

L'ex giudice Carlo Palermo: "piazzate l'auto distrutta nella strage di Pizzolungo al Palazzo di Giustizia di Trapani".

Per ricordare la strage di Pizzolungo, avvenuta il 2 aprile del 1985, c'è un progetto dell'amministrazione comunale di Trapani che punta al recupero dei resti dell'auto del giudice Carlo Palermo, distrutta dall'esplosione che causò la morte dei gemellini Giuseppe e Salvatore Asta e la loro mamma Barbara Rizzo. Nei giorni scorsi Tranchida ha contattato il giudice Palermo come Margherita Asta, figlia della signora Barbara per avere il loro consenso al progetto che prevede l'allestimento artistico/culturale, con dotazione di QRcode (di rimando ad una biblioteca e banca dati informatica sui fatti e misfatti della mafia), e l'installazione in un sito comunale, esterno e alla pubblica fruizione culturale, delle lamiere accartocciate dei resti dell'auto. 

Sul progetto della futura installazione della sua auto distrutta, il giudice Palermo spiega, con un suo lungo post su facebook, perché è favorevole a tale iniziativa, e lo fa rispondendo ad una followers che, invece, si dice contraria, sostenendo che ci sono altri modi per ricordare le vittime di mafia. "Quella macchina distrutta rimarrà l’unica fotografia reale idonea a ricordare adeguatamente e nella sua concretezza la realtà e la verità sinora mancata", afferma Carlo Palermo, che indica anche dove posizionare l'auto: dove lavorava lui, al Palazzo di Giustizia, "dove lavorava il giudice Ciaccio Montalto e dove venne arrestato un anno prima del suo arrivo il giudice Costa". Qui il post completo di Palermo: 

"Rispondo qui ad una osservazione emersa in una chat da parte di una ragazza giovanissima all’epoca dei fatti, sulla opportunità o meno di esporre in qualche luogo ancora non deciso della città di Trapani i vecchi resti dell’auto blindata che, pur distrutta e lasciata abbandonata sino al 2019 tra le immondizie del Comune, venne notata e fotografata durante l’ultima mia presenza su invito a Erice per commemorare l’attentato, occasione in cui presentai il libro da poco da me scritto “La Bestia”.
Qualche giorno fa mi telefona il sindaco di Trapani Giacomo Tranchida (dal 2018, prima lo era di Erice e lo conoscevo dal passato per sue iniziative in ricordo dell’attentato di Pizzolungo) e mi comunica l’intenzione, in un contesto di rinnovamento sociale, di recuperare i “resti” dell’auto per mostrarli in qualche luogo della città prima raccogliendo l’assenso di Margherita Asta e quello mio.
Nel rilievo emerso sulla mia chat una giovane forse nata all’epoca dell’attentato o poco prima, non ne ravvisa l’opportunità esistendo anche altri modi per “onorare le vittime della mafia e per non dimenticare”. E sono d’accordo con lei che esistano tanti modi per onorare le vittime della mafia e per non dimenticare.
Ma è anche vero che l’attentato di Pizzolungo è un po’ diverso da altri analoghi episodi non solo sul tema delle sue vittime ma anche sui suoi significati.
La strage di Pizzolungo è unica per il terribile effetto dilaniante intenzionalmente esteso a terzi che per caso passavano di li (la mamma e i fratellini di Margherita), fatto unico nella nostra storia di mafia; ma è anche unica per l’estrema carenza di accertate responsabilità, essendo risultati tutti prosciolti gli esecutori (anche se alcuni testi hanno parlato di aggiustamenti di quel processo) e assai vaghe le motivazioni dei pochi mandanti identificati (in una quasi inesistente cupola), solo da me - per ora - individuate nella Massoneria che era stata da me già individuata nelle mie precedenti indagini di Trento.
Da queste ragioni ridotte all’osso, forse possono trarsi le ragioni dell’opportunità di “mostrare” quei resti dell’auto parlanti da se per oltre trenta anni tra i rifiuti cittadini e indicanti un episodio da dimenticare, non da ricordare, come il sottoscritto, colpevole forse di essere sopravvissuto anche se dispensato dal servizio 5 anni dopo per i danni subiti in quell’attentato accertati da un ospedale militare. Vede, gentile Assia, quella strage non fece solo vittime a caso colpendo e distruggendo una famiglia a Pizzolungo e per la prima volta una mamma e due bambini; colpi e distrusse anche me, anche se sono sopravvissuto, e tutti quelli che mi accompagnavano, rimasti invalidi e uno morto qualche anno dopo sempre per cause riconducibili a quell’attentato.
Per questa strage io non mi do pace da 35 anni perché non è stata fatta giustizia. Perché i giudici che vi indagano hanno timore a parlarmi, perché io “parlo” a differenza dei morti ammazzati e quindi non si può dire qualsiasi cosa e perché - le assicuro - in quell’episodio la mafia ha costituito solo braccio esecutivo e la massoneria mandante. Glielo assicuro e questo verrà accertato. Lo ricordi.
Come ricordi che, a cominciare dagli esecutori, tutti prosciolti forse con sentenze arrangiate, in ogni caso essi sono esattamente la’ in giro liberi, si aggirano come ombre e ridono per la propria impunità.
Vede, a Pizzolungo è stata realizzata una stele per ricordare quelle morti innocenti vittime della mafia e li per caso in tragica concomitanza con la mia presenza.
Ma io e la scorta, io e la mia attività di giudice sono finite li.
Nei miei confronti avvenne prima e dopo quell’attentato, molto. Anche ricostruito da altri, non da me.
Se ha letto qualcosa su questi fatti forse capirà perché a Trapani non mi volevano prima, non mi vollero allora (quando vi svolsi l’attività di giudice), non mi vogliono ora. Pensi che a Trapani, ove ho risieduto nel Palazzo di Giustizia (Via 30 gennaio, come risulta scritta la mia residenza anche sulla patente che conservo ancora), non sono mai stato invitato. Sa cosa vuol dire MAI?
I giudici di Caltanisetta (e taccio di altri) non sono venuti a Trento per vedere le mie carte e documenti, se non quando li ho chiamati io formalmente e i miei verbali sono stati secretati e non prodotti nemmeno nel recentissimo processo su Galatolo (non dimentichiamo già condannato per l’omicidio del generale Dalla Chiesa durante le mie indagini da Trento). E le ripeto: ci sarà un seguito. Ma questo avverrà (se avverrà) perché io rompo le scatole cercando e continuando a cercare.
I resti di quella macchina - che comunque mi ha protetto consentendomi di sopravvivere e di cercare la verità una vita intera - ricordano qualcosa di diverso rispetto a chi per caso rimase drammaticamente vittima: quei resti rappresentano me e la mia scorta, lo Stato, il giudice che ero (e non sono stato più), la verità fermata, le ombre della massoneria e dei Servizi.... oltre la mafia.
Ecco perché è giusto che quella macchina venga piazzata da qualche posto e osservata bene. Fotografa e rappresenta la realtà.
Io tra poco, con le mie richieste di indagini e le mie “fantasiose” ricostruzioni (come lo erano state quelle prima svolte a Trento), me ne andrò. I miei lamenti cesseranno. E allora quella macchina distrutta rimarrà l’unica fotografia reale idonea a ricordare adeguatamente e nella sua concretezza la realtà e la verità sinora mancata.
E credo di avere anche indicato dove dovrebbe essere piazzata secondo me: esattamente ove lavoravo. E ove lavorava fino a due anni prima Ciaccio Montalto prima di essere ammazzato, e l’anno prima di me ove venne arrestato il suo collega Costa.
Non fu per evitarmi di fare il giudice in quel Palazzo che avvenne quell’atto?
Tornerò presto in quel Palazzo.
Sono stato lì poco tempo. Ma sono rimasto affezionato a quel luogo e ai trapanesi che mi vogliono bene.
Tornerò e ringrazio il sindaco Giacomo Tranchida. E spero che questa volta mi farà “parlare” a Trapani". 


 



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