Un vero e proprio far west ai piedi del parco archeologico di Segesta. Una delle aree più belle e più visitate della Sicilia vive però in un contesto circondato da illegalità all’ombra della mafia.
E anche l’ultima inchiesta antimafia che ha portato all’operazione “Ruina” svela alcuni fatti che si intrecciano con il far west dei parcheggi di Segesta. Con quello che è emerso da un’altra indagine, “Phimes”, condotta dai Carabinieri, che ha portato agli arresti, un anno fa, dell’imprenditore Francesco Isca e del vice capo della polizia municipale di Calatafimi, Salvatore Craparotta, entrambi ancora ai domiciliari. Coinvolto nell’indagine anche l’ex sindaco di Calatafimi Vito Sciortino e l'ex comandante della polizia municipale Giorgio Collura. Con loro, imputati nel processo anche i vigili urbani Vito e Leonardo Accardo, e anche Giuseppe Ferrara e Giusi Maria Craparotta.
In pratica, secondo quanto emerso dalle indagini, il vigile urbano faceva multe a raffica a tutti coloro che non utilizzavano il parcheggio privato dell'imprenditore per l'ingresso al parco archeologico di Segesta. In cambio i suoi familiari erano stati assunti a lavorare nel parcheggio: moglie, figlie e genero. Otto le persone che da qualche settimana devono difendersi nel processo cominciato al Tribunale di Trapani.
Ma nell’operazione antimafia Ruina si sono scoperte altre cose. Si è scoperto ad esempio, che Nicolò Pidone, descritto come il capo mafia di Calatafimi, sarebbe stato il mandante di un attentato incendiario nei confronti dell’imprenditore Antonino Craparotta, reo di aver denunciato il proprio ex socio Francesco Isca, titolare della società che gestiva l’area di parcheggio privata annessa al parco archeologico di Segesta. L’attentato incendiario ai danni di Craparotta avviene circa 10 giorni dopo le sue denunce.
Il 3 marzo 2020 Antonino Craparotta, presso la Stazione Carabinieri di Napola – Erice, ha denunciato l’incendio della propria autovettura Fiat 500X rossa. Craparotta aveva dichiarato di nutrire dei sospetti sul proprio ex socio Francesco Isca, in ragione di una serie di denunce che egli aveva presentato nei suoi confronti, denunce a seguito delle quali egli sosteneva che l’Isca fosse stato arrestato.
Quando scatta l’operazione Phimes, sulla storia della corruzione nel parcheggio di Segesta, le indagini che porteranno a “Ruina” sono già in corso. Le cimici della polizia intercettano già diversi dialoghi tra il boss Nicolò Pidone e altri soggetti.
Ad esempio con Leonardo Milana, soggetto in stretti contatti con gli appartenenti al sodalizio, il capo mafia sfoga tutto il proprio astio nei confronti di Antonino Craparotta, reo di avere, con le proprie denunce, causato quegli stessi arresti.
La conversazione prendeva spunto dalle notizie circa lo stato d’animo di Paola Anna Maria Crimi, zia materna di Veronica Musso, figlia di Calogero – esponente apicale della famiglia mafiosa di Vita e condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo – e di Vita Crimi, quest’ultima sorella di Salvatore Crimi, importante trafficante di sostanze stupefacenti, già condannato in via definitiva per mafia e attualmente sottoposto a custodia cautelare per aver diretto la medesima famiglia mafiosa.
Subito dopo, i due interlocutori facevano poi riferimento a quanto accaduto nei giorni precedenti e ciò, secondo quanto accertato dalla polizia giudiziaria, in ragione dello stretto legame fra l’imprenditore Francesco Isca (come detto, arrestato cinque giorni prima) e Paola Anna Maria Crimi.
Ed è a quel punto che il Pidone e Milana citavano espressamente Craparotta, il cui comportamento delatorio, fortemente stigmatizzato dai due, aveva posto le premesse per una vera e propria “guerra”.
Il giorno dopo, Nicolò Pidone organizza la grave ritorsione ai danni di Craparotta. L’auto viene incendiata nella notte del 3 marzo a Napola, frazione di Erice.
Gli inquirenti identificano gli autori in Nicolò Pidone, in qualità di mandante, in concorso con Giuseppe Aceste, Antonino Sabella e Giuseppe Fanara, organizzatori ed esecutori materiali.
Perchè tutto questo interessamento?
Nel corso delle indagini “è stato accertato l’effettivo interessamento della famiglia mafiosa sulla gestione del “Segesta parking”, area adibita a parcheggio funzionale al sito archeologico di Segesta, come detto riferibile all’imprenditore Francesco Isca e, dopo il suo arresto, a Davide Gioia, figlio di Rosa Lo Giudice, attuale compagna del predetto Isca” si legge nel provvedimento di fermo.
A tal proposito, sono state registrate una serie di conversazioni, dalle quali è emerso il costante interessamento di Nicolò Pidone, in qualità di capo della famiglia di Calatafimi Segesta, sui comportamenti tenuti da Antonino Craparotta nei confronti degli attuali gestori di quell’area parcheggio. Pidone si riproponeva di intervenire personalmente sul Craparotta, per fargli rispettare gli interessi commerciali di Gioia e Adamo, evidentemente di interesse preminente per Cosa nostra.
Ma in questa vicenda viene coinvolto anche un agente di polizia penitenziaria. E quello che emerge negli ultimi giorni di indagine fa accelerare gli eventi e fa portare al provvedimento di fermo per evitare ulteriori fughe di notizie e soprattutto ulteriori atti violenti.
E’ il 5 novembre 2020 la Polizia interroga Antonino Sabella, già detenuto. Sabella racconta che Nicolò Pidone aveva ordinato l’incendio di una Fiat 500, di proprietà di un tale Craparotta, che aveva avuto con lui dei dissidi legati a una compravendita. Lo stesso Sabella ha inoltre dichiarato di aver solo accompagnato Giuseppe Aceste che ha poi proceduto all’esecuzione dell’attentato incendiario.
Pidone, dopo aver appreso che Sabella era stato sentito dagli inquirenti, in data recentissima, ha cercato di ottenere notizie circa eventuali dichiarazioni che il Sabella, in carcere, avrebbe potuto rendere, chiedendo informazioni direttamente a un appartenente al Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di Palermo – Pagliarelli, dove Sabella è attualmente detenuto.
Più precisamente, il 13 dicembre 2020 - due giorni prima del blitz - viene intercettata una conversazione all’interno del casolare di Pidone, fra quest’ultimo, Vincenzo Ruggirello (agente di polizia penitenziaria in servizio al Pagliarelli) e Nicolò Gucciardo i quali si erano recati al cospetto del capo mafia per la risoluzione di una controversia inerente alla suddivisione di alcune terre.
Nell’occasione, Pidone chiedeva al Ruggirello notizie circa la sistemazione del Sabella in carcere e ciò, all’evidenza, al fine di comprendere se lo stesso Sabella avesse reso dichiarazioni potenzialmente compromettenti nei confronti di altri soggetti.
La mafia nutre interessi particolari su quello che succede ai piedi del parco archeologico di Segesta. L’operazione Ruina conferma ancora che attorno ad una delle aree archeologiche più amate dai siciliani c’è un vero e proprio far west, fatto di corruzione, attentati incendiari, ritorsioni, denunce, e personaggi loschi.
Aggiornamento del 31 Marzo. Cliccando qui è possibile leggere una nota di rettifica del legale di Davide Gioia.