A quanto pare Berlusconi non l’aveva poi sparata così grossa. E dietro la liberazione dei pescatori di Mazara, prigionieri per 108 giorni in Libia, ci sarebbe stato lo zampino di Vladimir Putin. A confermarlo sono alcuni retroscena riportati da La Stampa.
Una settimana fa sono stati liberati i 18 pescatori di Mazara prigionieri per oltre 3 mesi in Libia, sequestrati durante una battuta di pesca in acque internazionali (ma rivendicate dai libici) dalle milizie del generale Haftar.
Una prigionia dura, in condizioni pessime, e con trattative da parte del governo italiano molto lunghe e farraginose. Qui, in Italia, per tutti i 108 giorni i familiari dei pescatori hanno protestato fino allo sfinimento per riportare a casa i marittimi.
La svolta la scorsa settimana, con la liberazione dei pescatori dopo un viaggio a Bengasi di Di Maio e Conte.
Poi il viaggio di ritorno e l’arrivo a Mazara dei due pescherecci Medinea e Antartide con a bordo i marittimi e la festa al porto. Subito dopo l’ex premier Silvio Berlusconi parla a telefono con uno degli armatori dei due pescherecci sequestrati e dice che è stato Putin a far liberare i pescatori. Una boutade dell’ex premier? Non proprio. Perchè il quotidiano diretto da Massimo Giannini riporta particolari, retroscena e dossier sull’intervento del leader russo nella liberazione “entro Natale” dei marittimi.
La Stampa riferisce che il Cremlino si è mosso quindici giorni fa e ha avviato una triangolazione con Erdogan per mettere un freno alla Fratellanza musulmana a Tripoli. Decisivo il consenso degli Usa intervenuti ai più alti livelli per facilitare la soluzione.
Nell’intreccio di consultazioni e contatti che hanno preceduto la liberazione degli equipaggi dei pescherecci italiani sequestrati dalla Marina militare di Khalifa Haftar, un passaggio decisivo è stato l’interessamento di Vladimir Putin alla vicenda. A riferirlo sono fonti a conoscenza del dossier le quali parlano di una telefonata giunta circa due settimane fa dal Cremlino alla base di Al-Rajma. Pare che Putin disse ad Haftar: “Libera i pescatori prima di Natale”.
Tutta la vicenda causa certamente imbarazzo al governo italiano che per settimane si è trincerato dietro posizioni non proprio lineari.
Scrive La Stampa:
“L’interessamento alla vicenda di Putin (il leader che più di tutti ha presa su Haftar), non ha incontrato opposizioni da parte del generale, il quale ha utilizzato il sequestro dei pescatoriper legittimare il suo ritorno in auge dopo essere stato per qualche tempo messo ai margini a causa del misero fallimento del suo colpo di mano su Tripoli. L’uomo (ancora) forte della Cirenaica ha però chiesto rassicurazioni sul sostegno russo da una parte, e dall’altra garanzie sul mettere un freno all’azione della Fratellanza musulmana nell’ovest del Paese (considerata da Haftar come un’entità terroristica) e incarnata agli occhi del generale nel ministro degli interni di Tripoli Fathi Bashaga. Una posizione in linea con quella dei russi, ai quali piace molto il vice presidente Ahmed Maetig. In questo senso - sembra - Mosca avrebbe avuto rassicurazioni da Ankara: Erdogan non avrebbe gradito il blitz del 18 novembre di Bashaga in Francia nel tentativo di aprire un dialogo con Parigi. Una serie di triangolazioni in cui è stato fondamentale il ruolo svolto dagli americani i quali sono intervenuti ad alti livelli per il rilascio dei pescatori avvenuto una settimana dopo. Successo ottenuto anche grazie al lavoro svolto dagli uomini di Gianni Caravelli, direttore dell’Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise). Ma non senza un riscatto politico da pagare visto che Haftar ha preteso la presenza a Bengasi del premier Giuseppe Conte e del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Una passerella con la quale il generale ha certificato il suo ritorno in auge”.
Intanto l'ufficio di presidenza del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ha deciso, in relazione ai fatti cosiddetti "Libia-pescatori", di svolgere, nell'immediatezza della ripresa dei lavori parlamentari a gennaio 2021, le audizioni del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, del ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, e del direttore dell'Aise, Gianni Caravelli.