A Mazara del Vallo l’incubo è finito. Ieri sono tornati a casa i 18 pescatori tenuti prigionieri in Libia per 108 giorni. I marittimi erano stati sequestrati il primo settembre scorso mentre si trovavano al largo di Bengasi con i pescherecci Medinea e Antartide. E ieri al loro arrivo la festa, al porto, nonostante la pioggia battente. In queste ore saranno sentiti i pesvatori, uno ad uno, per capire cosa sia successo in questi mesi.
L’arrivo
Il Medinea e l’Antartide hanno fatto ingresso al porto di Mazara alle 10 e 15, scortati dalle motovedette della Guardia Costiera, e accolti dalle sirene delle imbarcazioni ormeggiate. In banchina i familiari scorgevano l’orizzonte già da ore, quando i 18 pescatori sono usciti sul ponte. E lì l’urlo di gioia e la commozione per un incubo finito dopo oltre 3 mesi e mezzo. I familiari in tutto queste settimane hanno protestato, hanno urlato tutta la propria rabbia per una situazione che sembrava non sbloccarsi mai. A Roma, a Palermo, a Mazara sono state settimane di presidi fissi per riportare a casa i 18 pescatori prigionieri di un regime, quello di Haftar, non riconosciuto e che ha avuto il suo momento di celebrità, e il compiersi del ricatto politico con il volo di Conte e Di Maio a Bengasi. Ma di tutto questo se ne parlerà ancora nei prossimi giorni, per capire la portata politica, soprattutto internazionale, di questa trattativa. Ai familiari però interessava poco. Ieri mattina, sotto una pioggia battente, interessava riabbracciare i pescatori. Al loro arrivo 18 colombe bianche sono state fatte volare. "Non lo sapevate, ma non eravate soli. Vi abbiamo pensato ogni giorno. Le vostre mogli, i vostri figli, le vostre madri hanno fatto cose inimmaginabili per farvi tornare a casa". Con queste parole il sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci, ha accolto sulla banchina del porto i 18 pescatori. Con il sindaco anche il Prefetto di Trapani Tommaso Ricciardi. I pescatori dopo essere scesi dai pescherecci Medinea e Antartide sono stati sottoposti a test rapido anti-Covid che ha dato esito negativo per tutti e hanno potuto riabbracciare i familiari.
Le parole dei pescatori
Già ieri, uno alla volta, i pescatori hanno cominciato ad essere sentiti dai carabinieri per raccontare cosa è successo in questi 108 giorni di prigionia. "Abbiamo sentito parlare in carcere di uno scambio di prigionieri tra noi e alcuni detenuti libici ma non abbiamo saputo altro. Ne parlavano i detenuti ma i carcerieri non ci dicevano niente. Ci facevano segnale che non dipendeva da loro ma da quelli più in alto di loro e indicavano le stellette militari". Ha detto ieri Pietro Marrone, il comandante del Medinea, uscendo dalla caserma dei Carabinieri, dopo che è stato interrogato per quasi tre ore. "All'inizio pensavamo che fosse un sequestro normale - dice - poi abbiamo capito che la cosa era diversa, forse era più una questione politica. Dicevano solo che era una questione Italia-Libia, Italia-Libia, Italia-Libia". Marrone lancia l’appello al governo, a stare più vicino ai pescatori in futuro. Racconta delle umiliazioni subite, “ci mettevano spalle al muro e ci gridavano in faccia”. Il comandante del Medinea racconta anche del momento del sequestro, quando i libici hanno iniziato a sparare in aria. “E’ stata durissima, ci sentivamo abbandonati”.
“Ho sentito dai nostri carcerieri dell’ipotesi di scambio di prigionieri tra noi e dei libici in prigione in Italia. Ne hanno cominciato a parlare un mese dopo il sequestro e questo mi ha messo paura: sospettavo che i nostri carcerieri potessero essere dei terroristi”. Ha detto Giri Indra Gunawan, indonesiano di 43 anni, tra i 18 marinai sequetrati a Bengasi. "Siamo stati trattati malissimo, ci facevano dormire a terra. Cibo scadente. E' stato terribile". E’ invece il racconto di Onofrio Giacalone. "Non sapevamo nulla di ciò che accadeva in Italia ci tenevano all’oscuro di tutto". "Hanno sparato per aria, ci siamo spaventati a morte. Pensavamo di morire”. La procura di Roma aveva aperto un fascicolo d’indagine dopo il sequestro dei 18 componenti gli equipaggi in Libia.
L’abbraccio di Cristina, l’emozione di mamma Rosetta
E' stata tra i familiari che più si sono esposti, che più hanno urlato e protestato durante i 108 giorni in cui i 18 pescatori di Mazara sono rimasti prigionieri a Bengasi, dopo essere stati sequestrati dalle milizie del generale Haftar.
Cristina Amabilino, la moglie di uno dei pescatori mazaresi, Bernardo Salvo, ci ha messo la faccia tante volte, ha urlato a Roma, a Mazara, a Palermo, in ultimo ha detto no a Di Maio, rifiutando un incontro in videoconferenza con il ministro degli Esteri. Adesso, dopo tanti pianti, sorride, e pubblica la foto con il marito, arrivato ieri a Mazara con gli altri pescatori. Un abbraccio attesto da tre mesi e mezzo. A casa Salvo uno striscione, "Il tuo posto è nella tua casa dove ti aspetta l'amore che ti meriti, la tua famiglia".
"Hanno sofferto tanto e avevano paura ma ora è tutto finito, finalmente potrò riabbracciare mio figlio Pietro". Ha detto Rosetta Ingargiola, la madre 74enne di Pietro Marrone, il Comandante della “Medinea” durante l’attesa al porto di Mazara. "Ma anche se è adulto lui stava con la speranza che io gli dessi forza. E gliel’ho data”. Come hanno lottato tutte le donne, fortissime, di Mazara. “Noi Non li abbiamo mai abbandonati, abbiamo lottato giorno e notte. Ho accompagnato mio figlio qui il 26 agosto e dopo quattro mesi sono qui per riprenderlo. C’è tanta paura del mare e dei sequestri mio figlio mi ha detto: ‘la morte dove mi vuole mi trova’”.
Berlusconi e Putin
Intanto ieri Silvio Berlusconi ha parlato a telefono con l’armatore del Medinea Marco Marrone, che si trovava in un ristorante a Mazara del Vallo quando è stato raggiunto dalla telefonata. Il leader di Forza Italia ed ex Premier gli ha detto che la liberazione dei pescatori sarebbe avvenuta grazie all’intervento del presidente Russo Putin. Con marrone c’era anche il presidente dell’Assemblea siciliana Gianfranco Miccichè.