Anche se si conosce di più rispetto all’inizio, il Covid-19 rimane una malattia ancora abbastanza sconosciuta. I medici che curano i pazienti Covid sono sicuri di una cosa però, le conseguenze che lascia sul corpo durano molto a lungo a anche dopo che si è negativizzati.
Alcuni pazienti provano affaticamento o sono senza fiato, hanno dolori al petto o una tosse che non sembra passare mai. Altre conseguenze sono più subdole. Si manifestano sotto forma di insonnia, flashback, stato di allerta continuo, sintomi come quelli provati dai militari che sono stati in azioni di guerra.
L’Italia è all’avanguardia nello studio degli effetti postumi del Covid-19. Secondo uno studio realizzato dal gruppo di medici del policlinico Gemelli di Roma – come riporta Domani - che lavora al day hospital post Covid dell’ospedale, quasi il 90 per cento dei pazienti esaminati presenta almeno un sintomo e il 50 per cento ne presenta almeno tre.
L’unità post Covid è nata al Gemelli per dare una risposta ai pazienti Covid dimessi dai reparti. L’idea è del professor Francesco Landi, direttore dell’unità di riabilitazione e medicina fisica del Gemelli, a cui è venuta l’intuizione di creare il day hospital post Covid, la prima struttura multi specialistica di questo genere in Italia, qui vi lavorano Matteo Tosato geriatra e Delfina Janiri psichiatra.
Come funziona il day hospital - Tratta pazienti dopo due-tre mesi dalla fine della fase acuta della malattia. Si fanno tre ricoveri mattutini di day hospital in tre giornate differenti. Al primo accesso il paziente fa analisi del sangue, elettrocardiogramma e raccogliamo la storia clinica del paziente, prima, durante e dopo il Covid. Nel secondo accesso ci si occupa della parte respiratoria, con una tac al torace, prove di funzionalità respiratoria, una visita pneumologica, una con un otorino, per valutare olfatto e gusto, e infine una valutazione ecocardiografica.
Nel terzo accesso i pazienti vengono visitati da un neurologo, un gastroenterologo, uno psichiatra, un infettivologo e un internista. A questo punto si tirano le somme della valutazione e si suggerisce un profilo più personalizzato.
I sintomi persistenti dopo il covid - Soltanto il 12 per cento dei pazienti non ha più sintomi, mentre più della metà presenta più di tre sintomi. Il principale è l’affaticamento, seguito dalle difficoltà respiratorie, dai dolori articolari e dai dolori al petto. Percentuali significative, un po’ sotto il 20 percento, hanno tosse o anosmia. L’affaticamento, è probabilmente causato da squilibri infiammatori che impiegano tempo a guarire. “Ora, a sei mesi di distanza dalla maggioranza dei contagi, potremo capire di più e valutare se e quando si arriva a un completo recupero – afferma Tosato”.
"Quando abbiamo iniziato a lavorare ci aspettavamo di vedere pazienti con sintomi dell’umore, depressione, ansia, insonnia, ma ci siamo trovati di fronte a un quadro diverso - le parole della dottoressa Delfina Janiri -. Sintomi molto specifici che appartengono alla Ptsd, il disturbo psichiatrico identificato per la prima volta durante Seconda guerra mondiale, quando veniva classificato come “shellshock”, lo choc da bombardamento, e poi si è continuato a osservare nei reduci del Vietnam, in quelli di disastri naturali e in genere dei grandi eventi traumatici collettivi. Siamo rimasti colpiti nel vedere questi sintomi legati alla persistenza del ricordo traumatico nei pazienti Covid, come flashback del periodo acuto della malattia, sogni vividi dell’evento traumatico, irritamento nel ricordo dell’esposizione al trauma, stato di vigilanza e allerta continuo. Quando questi sintomi si presentano insieme, “clusterizzati”, determinano il Ptsd, la risposta che il nostro cervello dà agli eventi traumatici. La prevalenza del Ptsd nel campione dei pazienti visti da aprile ad oggi è del 30 per cento".