Una ragazza di 17 anni di Trapani, venerdì 6 Novembre, ha dato alla luce una creatura, partorendo di nascosto in camera sua. Poi si è disfatta del corpo del neonato buttandolo dalla finestra del quinto piano. La vicenda ha suscitato sdegno, commozione e anche rabbia, non solo a Trapani. Ne sono seguiti: analisi sui giovani e appelli, qualche commento intelligente, tante banalità, molti, moltissimi, insulti. Come ormai avviene sempre più spesso, di fronte a vicende così grandi mi trovo come bloccato. Non so cosa dire, cosa pensare. Poi tutto prende una forma.
Giacomo Di Girolamo
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Non ho avuto il tempo per un nome, per aver riconosciuto un peso, un sesso, una somiglianza, ha gli occhi di suo padre / le labbra di sua madre / vedeste da chi ha preso.
Non ho fiocco azzurro / fiocco rosa, se proprio un colore deve essere, può essere il catrame.
Sono un tumore spremuto, espulso, lì, dietro la siepe di un cortile. Grumo di sangue che lascia sapore di ferro in bocca.
Sono una piccola morte.
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Si dice che negli ultimi istanti prima di morire passi, davanti agli occhi di ognuno di noi, il film della propria vita.
La mia vita troppo breve è stata una linea verticale. E’ durata quanto un urlo, un respiro profondo, il segno della croce.
Però posso dire che, in quei pochi momenti, anch’io ho visto la mia vita passare. Tutto ciò che non è stato, io l’ho visto passare.
Al quinto piano, appena fuori la finestra, ho visto il seno di mia madre, l’aeroplanino, il cavalluccio con papà. I giochi dei nonni e la prima bicicletta, la pizza, una filastrocca e la preghiera dell’angelo custode.
Al quarto piano lo scivolo e la noia dei compiti, il suono della campanella e il sapore dell’uva rubata, certe risate piene, tragedie immaginate, la pioggia e il fango, e il mare.
Al terzo piano un primo bacio, il piacere ed il peccato, una mano da tenere, il viso di persone care, una famiglia, le delusioni, la gioia di una casa, le valigie e le stazioni, tutti i libri letti, gli appetiti saziati.
Al secondo piano un soprannome, un litigio, una mano da stringere, una certa saggezza, i giorni di festa, i rimpianti e il cielo d’autunno, io che baro ai solitari.
Al primo piano tutte le leggi dell’amore. Ho visto l’amore che fa buone le cose, e che fa passare la malinconia. Ho visto l’amore che fa crescere i gerani nei balconi, e che ingentilisce i gesti dei vecchi.
Ho visto l’amore di una madre.
Al piano terra, toccando il suolo, ho visto - infine - l’amore che perdona.
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Non ho avuto tempo, e allora il tempo lo posso inventare. Capovolgete la mia storia, raccontatela al contrario. Io non sono un neonato spinto da una madre dalla finestra di camera sua, sono invece un corpo che sale e lascia la terra, stacca l’ombra. E si libera.
Oplà.
Si libera.