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12/11/2020 02:00:00

L’emergenza del caporalato in Sicilia: la storia che si ripete 

Le migrazioni rappresentano un fenomeno globale, che ha avuto e continua ad avere un impatto tale da modificare gli equilibri del pianeta. Con il processo di globalizzazione il fenomeno assume dimensioni di massa, i flussi migratori si modificano, risultano quasi imprevedibili e di conseguenza la loro geografia appare in continua ridefinizione. Una delle conseguenze di tale processo è un’accresciuta mobilità del lavoro migrante, che rappresenta una fuga da situazioni di sottosviluppo, assoggettamento e sfruttamento, inserendosi all’interno del mercato del lavoro del paese di destinazione.

I fenomeni migratori degli ultimi decenni hanno contribuito a ridisegnare il ruolo della forza lavoro migrante, che potremmo definire indispensabile, in quanto va a sanare l’erosione della base occupazionale di alcuni settori più “deboli”, dove il bisogno di manodopera a basso costo garantisce una maggiore appetibilità della forza lavoro immigrata (rispetto a quella locale). Negli ultimi due decenni, infatti, i paesi mediterranei hanno dimostrato l’incapacità di colmare i fabbisogni di manodopera attingendo solo ai bacini nazionali di forza lavoro. Ciò ha evidentemente portato ad una richiesta di lavoro immigrato in vari settori e la conseguente formazione di immigrazione irregolare insediata all’interno dei sistemi economici dei paesi di destinazione.

Un caso emblematico è rappresentato dal lavoro migrante nel settore agricolo del sud – Italia, nello specifico della Sicilia. La presenza di migranti che guardano alla Sicilia come una fase temporanea (e non solo) del loro viaggio ha portato all’aumento della disponibilità di forza lavoro a basso costo, capace di soddisfare esigenze momentanee del mercato e dei settori produttivi locali. Si tratta di un fenomeno rilevante e abbastanza complesso, tanto da essere considerato una emergenza socio – economica a livello internazionale, su cui però non si è ancora formato un adeguato livello di attenzione e azione di contrasto.
Nel contesto dell’economia sommersa e dell’immigrazione irregolare, esclusa per definizione dai canali istituzionali di collocamento, l’agricoltura si è ristrutturata e riprodotta attraverso processi di delocalizzazione, contenendo i costi di produzione proprio attraverso lo sfruttamento della forza lavoro migrante, la cui presenza nelle aree rurali del Sud, e nello specifico in quelle siciliane, sta contribuendo in maniera assai significativa a produrre importanti trasformazioni funzionali e stratificazioni sociali.

È in queste pieghe che si fa strada, ormai da troppi anni, il fenomeno del caporalato.

L’attività di intermediazione svolta dalla figura del caporale non si esaurisce solo nella proposta e nell’impiego di forza lavoro straniera sui campi, ma risulta essere un vero e proprio dominio sui lavoratori, esercitato attraverso l’uso della minaccia, della violenza, dell’intimidazione e di pratiche di sfruttamento sessuale, al fine di ridurre le vittime a pure merce e considerarle esclusivamente come braccia e corpi necessari al perpetuarsi del processo produttivo.

Nella zona sud – orientale dell’isola, in particolare a Cassibile, piccolo borgo in provincia di Siracusa, il lavoro agricolo stagionale svolto dai migranti persiste da anni. Come avviene da quasi venti anni, infatti, moltissimi braccianti stagionali, si recano a Cassibile per la raccolta stagionale delle patate. Migranti regolari, in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno, rifugiati, richiedenti asilo non vedono riconosciuto il loro diritto a lavorare nel rispetto delle norme contrattuali e si trovano costretti ad affidare il loro lavoro nelle mani dei caporali. Ogni mattina dalle 5:00 alle 7:00 i migranti vengono reclutati nella piazza principale o nei bar del paese per essere portati sul luogo di lavoro, per 9/10 ore giornaliere a fronte di un salario di 30/35 euro, da cui detrarre in media da 3 a 5 euro a persona per il trasporto nelle campagne. La media di raccolta è di 100 cassette di patate al giorno: chi non riesce a raccoglierle il giorno dopo non trova lavoro.

Se venissero rispettate le norme contrattuali, la loro assunzione – in qualità di manodopera – dovrebbe avvenire tramite uffici relativamente preposti, il salario dovrebbe essere di 6,20 euro e la giornata lavorativa di 6 ore e trenta minuti. Il datore di lavoro, inoltre, dovrebbe farsi carico delle spese di trasporto e del materiale di lavoro necessario. Alle dure condizioni lavorative si sommano anche i disagi legati alle condizioni abitative e di pernottamento. I migranti sono costretti a cercare rifugio in casolari di campagna abbandonati o allestire con tende e lenzuoli giacigli momentanei. Quest’anno molti migranti hanno costruito autonomamente all’ingresso di Cassibile alcune decine di tende/capanne per riposare durante la notte.
Questa gestione del lavoro migrante fa capire molte cose circa le forme che stanno assumendo nel contesto siciliano le strategie di governance dei flussi migratori.

Il V Rapporto sulle Agromafie di FlaiCgil stima mezzo milione di persone coinvolte nello sfruttamento, di cui 180mila vivono in condizioni disumane. I dati del Rapporto Flai Cgil raccontano di un lavoro fatto di sfruttamento e illegalità che ha portato la GDO (grande distribuzione organizzata), durante la pandemia, ad incrementare i profitti, a scapito di aziende e braccianti.
Ma quante sono realmente le aziende e le ditte che non si servono della figura del caporale? Senza un controllo diffuso le aziende continueranno ad evadere i contributi, ingrassando i caporali e mettendo in atto becere pratiche di sfruttamento della manodopera e innescando guerre fra poveri.
In assenza di un sistema che permetta loro di lavorare con dignità e nel rispetto delle norme contrattuali è necessario fare qualcosa. La protesta non basta più, servono proposte e poi azioni.

Le criticità di questo sistema di sfruttamento non sono cambiate nemmeno con l’introduzione della legge per l’emersione dei lavoratori migranti:

la sanatoria, infatti, ha normalizzato l’esistenza di pochissime categorie di lavoratori e lavoratori migranti, sortendo in alcuni casi un effetto boomerang. Come denunciato da un’inchiesta dell’Espresso [1], infatti, i braccianti che sono stati regolarizzati dai loro datori di lavoro sono stati vittime dei caporali che – a fronte dei costi di regolarizzazione – hanno chiesto una “ricompensa”.

Sono oramai anni che le stesse emergenze si ripropongono, ma ogni anno vengono affrontate con la stessa noncuranza e disattenzione. E con la pandemia mondiale di Corona virus che stiamo affrontando, e con la conseguente esclusione dalle garanzie sanitarie e giuridiche, la condizione dei migranti è ulteriormente peggiorata, schiacciata all’interno di un sistema economico e normativo che riduce i migranti in schiavitù, con la complicità di istituzioni e l’indifferenza dell’opinione pubblica.

Fonte: Federica Zito - www.meltingpot.org