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31/08/2020 22:00:00

Il paradigma della dialettica

Non ho paura di chi esprime le proprie idee ma di chi non ne ha alcuna e non vuole o non sa esprimerle.

Esternare un parere diverso da quello comune o dal sentire di un altro non è contrapporsi all’altro, entrare in conflitto con chi la pensa diversamente, è, piuttosto, segno di maturità e di riflessione: vuol dire avere uno spirito collaborativo per far emergere il meglio su una determinata questione, vista da angolazioni diverse al fine di addivenire a una conclusione che, comunque sia, è sempre personale. I filosofi idealisti ponevano come paradigma del loro ragionamento tre momenti costruttivi: la tesi, l’antitesi e la sintesi. Ogni parte di esse ha, poi, al suo interno tanti momenti favorevoli, contrari e di ricapitolazione.

Ragionare vuol dire entrare nei meandri dell’intelletto per scandagliare, “spaccare il pelo in quattro” e pervenire a più conclusioni possibili. Una volta sopraggiunti a una sintesi, non è detto che quella sia per tutti la soluzione finale, essa diventa a sua volta antitesi per gli altri: così si sviluppa il dialogo e si costruisce un percorso che dà seguito a tante antitesi e sintesi.

Se uno, poi, esprime un pensiero, non è detto che esso abbia necessariamente dei risvolti o si debba far dire all’interlocutore ciò che lui non ha detto. Bisogna sempre capire il pensiero dell’altro: in quale contesto è stato detto, quale particolare emotività avesse nel momento dell’esternazione, da che cosa è stato provocato. E quando s’interviene, partire non all’attacco, ma dicendo sempre: “a me sembra”, “il mio parere è”, “forse ci potrebbe essere un’altra lettura”, “desidererei aggiungere”, …

L’obiettivo non può essere mai esprimere una verità assoluta che nessuno possiede, ma costruire un’oggettività con il contributo di tutti e quando sembra che quel fine sia raggiunto, lasciare sempre un margine perché si possa aggiungere un ulteriore modo di vedere. Soprattutto su alcune verità che sovrastano la nostra mente umana che, per quanto estesa, dimostra sempre un limite, oltre il quale ci si arresta inesorabilmente. Quello che è importante, in ogni tipo di raziocinio, esprimere le motivazioni per cui si è pervenuti a quella soluzione finale: il perché, la dimostrazione è più importante dell’enunziato. Quando nei miei anni d’insegnamento gli alunni mi chiedevano di spiegar loro alcuni temi come quello dell’esistenza dell’Assoluto, rispondevo sempre utilizzando razionalmente delle spiegazioni plausibili: gli esempi, come le convinzioni di altri autori, oltre naturalmente ai testi sacri e profani, erano lo strumento pedagogico per presentare un argomento. Dopo aver esposto una serie di motivazione, concludevo che, alla fine, tutto quello che avevo detto loro, anche se lo avessimo detto tutti gli uomini messi assieme, non era nulla, poiché non dimostrava l’esistenza di Dio: Dio, infatti, è il totalmente Altro e qualsiasi dimostrazione risulterebbe vana. Noi, con la nostra piccola mente, utilizziamo ragionamenti anch’essi piccoli anche se adoperati al superlativo, ma non esprimono realmente ciò che l’Altro è. Possiamo cogliere di Lui uno sprazzo, avere una percezione, un’intuizione, mai racchiuderLo nella sua totalità.


Questo archetipo si applica a qualsiasi ricerca e le conclusioni a cui perveniamo non ci inorgogliscano mai, ma come un dono offerto agli altri, siano da stimolo per loro e un esercizio di umiltà per noi che saremo arricchiti dal pensiero altrui. Importante è sforzarci di parlare un linguaggio passibile da decodificare un messaggio per avere un appropriato feedback (messaggio di ritorno).


Il pensiero deve essere sempre libero, non incapsulato e se si pensa diversamente si può essere di parere diverso, mai contro la persona. Ascoltare chi esprime la propria idea non è solo un atto di cortesia ma ricchezza interiore anche perché, a volte, l’opinione dell’altro può non essere percepita subito e solo col tempo essere interiorizzata come nostra.
Nessuno si senta povero da non esprimere il proprio pensiero (sempre nel campo delle proprie competenze: senza avere l’arroganza di sapere “tutto di tutto” e di tutti), ma nessuno si senta ricco da pensare che solo lui sia padrone da non avere bisogno d’imparare. Di fronte all’immensità del pensiero c’è posto per tutti e la mente è un oceano aperto in cui ogni uomo può produrre pesci di piccola, media e vasta grandezza, a sua volta pescare ogni sorta di specie. Importante è tuffarsi nel mare del sapere: se ne uscirà sicuramente più arricchiti e arricchenti.

Salvatore Agueci