I pregiudicati e i mafiosi di Trapani e dintorni quando si raccontavano la storia di quell'agguato la dipingevano come quella scena del film Scarface, quando Tony Montana, crivellato di colpi, tenta di resistere alla raffica di proiettili. “Diego Pipitone? E' una persona molto conosciuta e temuta a Trapani, per i suoi trascorsi penali e per aver subito anche un tentato omicidio”, diceva qualche mese fa agli inquirenti Pietro Cusenza, uno dei coinvolti nell'inchiesta antimafia Scrigno.
Diego Pipitone è un nome che i lettori di Tp24 hanno imparato a conoscere nei mesi scorsi per la nostra inchiesta “San Giuliano Criminale”, con la quale abbiamo raccontato come un gruppo di pregiudicati abbia avuto il controllo del consenso elettorale a Trapani ed Erice. E tra tutti Pipitone è certamente l’uomo più temibili, per il suo passato, per la sua condanna per omicidio alle spalle, per il gran pacchetto di voti che riusciva a muovere soprattutto nel quartiere di San Giuliano. E quello, Pipitone, che ha fatto eleggere un consigliere comunale e lo ha costretto a dimettersi il giorno del giuramento. E’ il caso di Francesco Tarantino, costretto a dimettersi per far posto a Francesca Miceli. Entrambi candidati con la sindaca Daniela Toscano ad Erice, che conosceva Pipitone, e lo ringraziava la sera del voto. E’ quello cercato da tutti, perchè riesce a portare un gran numero di consensi.
Ma Pipitone nei primi anni ‘90 è protagonista di una storia che è diventata quasi una leggenda. Di quelle che corrono di bocca in bocca ai criminali, se la raccontano, e girando accresce la caratura criminale di Pipitone. Una vicenda, quella dell’agguato che ha subito, molto rocambolesca, da film. La storia che oggi siamo in grado di raccontare è contenuta nella sentenza del processo Omega, che diede un colpo, a metà degli anni 90, a cosa nostra in provincia di Trapani, con oltre 80 arresti. Un processo che fece luce su una serie di omicidi eccellenti nel territorio, e in particolare sulla guerra di mafia che si consumò in provincia di Trapani nei primi anni 90 tra “corleonesi” e i dissidenti all’egemonia di Totò Riina. In questo contesto si inserisce l’agguato a Diego Pipitone.
E’ la sera del 18 ottobre 1992, sono circa le 20, contrada Bocca della Carrubba, Castellammare del Golfo.
A terra, in una pozza di sangue, ci sono due cadaveri, sono quelli di Mariano Pipitone e Vincenzo Surdo. Raggiunti da una serie di colpi a bruciapelo. I sicari però non cercavano loro. L’obiettivo era Diego Pipitone. All’epoca Pipitone era un rampollo della criminalità della provincia di Trapani. Stava scontando in regime di semilibertà 18 anni per omicidio e detenzione illegale di armi. Durante il giorno andava a lavorare in una ditta di pulizie, la notte doveva tornare in carcere, a Trapani. Quella sera Pipitone stava rientrando a Trapani, al penitenziario di San Giuliano. Si accorge che fora una gomma, e si ferma vicino casa del fratello Mariano. Escono lui e Vincenzo Surdo, fidanzato della sorella di Pipitone, a dare aiuto per sostituire la ruota. Uno pneumatico che qualcuno aveva tagliato di proposito, per poi tendere un agguato a Diego Pipitone. Infatti, di li a poco si scatena l’inferno.
Alle spalle arriva un’auto, una Lancia Prisma, con a bordo tre persone. Ne scendono due, con pistole in mano. L’obiettivo era Diego Pipitone, ma i piani dei killer sono stati stravolti dalla decisione di chiedere sostegno ai suoi familiari. I killer cominciano a sparare mentre i tre sono intenti a cambiare la ruota. I bersagli diventano tre, e accennano ad una fuga. Sono momenti concitati, rocamboleschi, e crudeli, come lo erano quegli anni di guerre di mafia in provincia di Trapani. Mariano Pipitone e Vincenzo Surdo vengono raggiunti immediatamente dai colpi sparati dai sicari. Un colpo partito da un revolver calibro 38 a bruciapelo in testa lascia a terra, morto sul colpo Mariano Pipitone. Vincenzo Surdo muore per le ferite prodotte da 5 colpi d’arma da fuoco che hanno raggiunto soprattutto l’area toracica. Il suo corpo verrà trovato a una cinquantina di metri dall’agguato da un vicino di casa, che ne ha seguito la scia di sangue. Diego Pipitone? Appena cominciarono gli spari si diede alla fuga, inseguito da uno dei killer. Pipitone cade a terra raggiunto dai colpi di pistola sparati dal killer. E’ ferito, si gira, guarda il killer, aspetta i colpi di grazia. Ma non arrivano, la pistola si inceppa. Pipitone prende una pietra la lancia al killer e scappa. L’agguato fallisce. I killer scappano.
I sicari sono tre mafiosi, incaricati di uccidere Diego Pipitone.
Si tratta di Gioacchino Calabrò, Agostino Lentini, e Giuseppe Ferro. Alla guida dell’auto rubata utilizzata per l’omicidio c’era Lentini, che rimase in macchina. Scesero Calabrò e Ferro. Finito tutto Lentini si avvicina con l’auto, scappano via. Da lì raggiunsero la casa di Calabrò, dalla quale erano partiti per l’agguato. Poi ognuno per conto proprio. Lasciano due morti stecchiti, e un obiettivo mancato. Diego Pipitone è vivo per miracolo, viene colpito da un proiettile nella zona lombare destra, due nella scapola destra, uno al polso sinistro, e uno nella zona dello stomaco. Pipitone all’epoca era un rampollo della criminalità, anche se non era affiliato alla mafia. Finì in mezzo alla guerra di mafia tra corleonesi e stiddari che in quel periodo era partita da Marsala e si stava consumando in tutta la provincia di Trapani.
Ma chi e perchè voleva Diego Pipitone morto? Lo raccontiamo domani.