Il trascorrere del tempo dall’epoca alla quale risalgono alcuni dei fatti contestati da Procura di Marsala e Guardia di finanza, nonché l’assoluzione da uno dei capi d’imputazione (malversazione), ha dato una mano d’aiuto all’imprenditore Michele Licata nel processo principale.
E cioè quello che il 2 dicembre 2016, davanti al gup di Marsala Riccardo Alcamo, ha visto la sua condanna, con rito abbreviato, a 4 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere, oltre che per la frode fiscale (Iva e altre tasse non pagate tra il 2006 e il 2013, per un ammontare stimato tra i 6 e i 7 milioni di euro), anche per truffa allo Stato e malversazione. Adesso, in appello, per la truffa allo Stato (circa 4 milioni di euro di finanziamenti pubblici per la realizzazione di alberghi e ristoranti “indebitamente” percepiti) è stata dichiarata la prescrizione, mentre per la malversazione (circa un milione e 800 mila euro che, secondo l’accusa, Licata aveva sottratto alle casse di una delle sue società, “Il Delfino”) c’è stata l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”. “Michele Licata non si è appropriato di quel denaro – afferma l’avvocato Carlo Ferracane, che si è occupato della difesa proprio in relazione a questo reato – circa un milione e 600 mila euro, sul totale di un milione e 800 mila, erano, infatti, su un libretto postale che è stato sequestrato e messo a disposizione degli amministratori giudiziari”. I fatti per i quali la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato il “non doversi procedere” per estinzione dei reati per prescrizione sono quelli relativi fino all’anno d’imposta 2010. Ciò, insieme all’assoluzione dall’accusa di malversazione, è stato alla base della riduzione della pena inflitta in primo grado. Pena che la terza sezione della Corte d’appello di Palermo ha rideterminando in due anni, sei mesi e 20 giorni di carcere. E per questo, gli avvocati difensori Carlo Ferracane e Salvatore Pino (il secondo è del Foro di Milano) hanno espresso la loro “soddisfazione”. Ferracane, in particolare, ha detto che si confidava in questa notevole riduzione di pena e nell’assoluzione dall’accusa di malversazione (reato contestato al “capo 44”). Consulente tecnico della difesa è Paolo Rossi. In primo grado, con Michele Licata erano imputate anche le figlie Clara Maria e Valentina, titolari di alcune società del gruppo e imputate in concorso con il padre. Entrambe patteggiarono la pena. La prima fu condannata a 1 anno, 4 mesi e 10 giorni di reclusione, la seconda a 1 anno, 1 mese e 10 giorni. Al “gruppo Licata” lo Stato ha sequestrato beni, società e liquidità per quasi 130 milioni di euro. E in particolare, il ristorante “Delfino”, l’albergo “Delfino Beach”, l’agriturismo “La Volpara” e il mega-complesso ristorante-albergo-centro benessere “Baglio Basile”. Ristoranti e alberghi proseguono regolarmente la loro attività sotto amministrazione giudiziaria.
In appello, intanto, è anche il procedimento per le misure di prevenzione patrimoniali (sequestro beni). Prossima udienza: il 12 ottobre.