L’obiettivo finale era affidare gli appalti milionari della sanità pubblica senza pensare per nulla ai costi stratosferici in più per le casse della regione.
Gli investigatori della guardia di finanza che hanno condotto l’operazione “Sorella Sanità” hanno ricostruito i rapporti tra i corrotti e i corruttori, e ne viene fuori un campionario di minacce, pressioni, contestazioni e in alcuni casi anche messinscena finalizzate a quell’unico obiettivo: l’appalto milionario che avrebbe garantito ai manager “generosi” e illeciti guadagni.
Nell’ordinanza di arresto firmata dal gip Rosini ha un’importanza centrale il capitolo che riguarda i rapporti tra le due figure centrali dell’inchiesta: Antonio Candela e Fabio Damiani. Il primo fino al giorno dell’arresto commissario regionale per l’emergenza Covid-19 e fino a novembre 2018 manager dell’Asp 6 di Palermo, Damiani, invece, è stato responsabile del provveditorato dell’Asp palermitana e poi ha diretto la Centrale Unica di Committenza degli appalti e in ultimo a capo dell’Asp 9 di Trapani.
Le pressioni per ritardare la firma dell’appalto – Tra i diversi episodi, fatti di pressioni ma anche tensioni tra i due manager, c’è quello che riguarda l’affidamento alla ditta “Tecnologie Sanitarie” di un appalto da 17 milioni di euro indetto dall’Asp 6 per la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali. Candela in questo caso, tramite Giuseppe Taibbi (finito agli arresti), chiede di ritardare o omettere la firma per la sottoscrizione del contratto d’appalto alla ditta già aggiudicataria, favorendola nel beneficiare ancora delle più lucrose condizioni di cui usufruiva dal precedente contratto già scaduto e soprattutto, Candela, ha fatto pressioni su Damiani per consentire alla stessa ditta di partecipare alla procedura indetta dalla Cuc per una commessa che nel suo complesso vale 200 milioni di euro. Con le intercettazioni gli investigatori ricostruiscono le tappe della corruzione, tra funzionari, faccendieri e imprenditori. E i soldi delle tangenti pagati a Taibbi tramite un giro di fatture false, arrivano poi direttamente a Candela, pagati a “rate” tra aprile e novembre 2018.
Damiani intercettato rivela i retroscena sugli appalti - Il manager dell’Asp trapanese Fabio Damiani, all’inizio non convinto nel firmare quegli atti, entra a pieno titolo nel sistema corruttivo dopo che gli vengono inviate delle lettere che gli prospettano uno stop alla sua carriera. Lo dice lui stesso in un’intercettazione che rivela agli inquirenti i retroscena che girano attorno agli appalti della sanità. Così dice ad un amico: “Candela mi fa la guerra, mi mandò un mucchio di lettere di contestazione. Uno dei motivi principali, è che 10 giorni fa, mi ha chiamato insieme a quel porco del direttore amministrativo e mi ha chiuso nella stanza e mi ha detto non usciamo da qua se non facciamo una lettera a Tecnologie Sanitarie… con cui praticamente diciamo che vogliamo revocare la gara aziendale per aderire alla gara regionale”.
Il direttore dell'Asp di Trapani sa esattamente perché gli viene chiesto di revocare la gara dell’Asp e di aderire a quella regionale, lo spiega dicendo che avrebbe avuto l’effetto di far aumentare i costi a vantaggio della ditta e conseguentemente un aumento dei costi di circa 200mila euro al mese per la fornitura del servizio e di 10 milioni nell’arco dei cinque anni del contratto.
"Mi sento un topo in gabbia" - Fabio Damiani in un’altra conversazione intercettata dai finanzieri racconta alla moglie molti dettagli su come avvengono gli appalti. Parla di incontro al bar con Candela e Taibbi (arrestato anche lui) e di una telefonata che avrebbero ricevuto da parte di un personaggio importante della politica. Così racconta alla consorte: “Mi hanno convocato pe gli obiettivi e mi hanno fatto un tutto un discorso sull’incarico. Siccome loro hanno paura… cioè alla fine devono mettere a bando il mio. Poi nel contempo mi chiama quello… ma tu la lettera non l’hai fatta… vai subito a fare la lettera. Quindi io mi sento un topo in gabbia… intanto io non ho l’incarico… l’incarico non me lo danno. Io sono ricattato, devo fare cose che neanche voglio fare. E se non le faccio cosa faccio?”.
La messinscena della telefonata e George Clooney... - E continuando nel racconto alla moglie, circa il modo con il quale cercavano di convincerlo, Damiani si sofferma sull’episodio della telefonata al bar. “Eravamo seduti (lui e Candela), al suo amico (Taibbi) gli squilla il telefono, lui sta sempre con il telefono girato, questa volta invece è uscito fuori per fumare, è tornato e lascia il telefono visibile con lo schermo, dopo neanche qualche minuto che lui è rientrato squilla il telefono ed era chiaramente visibile, nome e cognome di chi telefonava. Personaggio, diciamo politico famosissimo, nazionale! Lui risponde al telefono, ah ciao per due tre minuti non si è capito, ha farfugliato delle cose non si capiva, cioè cose senza senso e chiude. Ora guarda, è sicuro al mille per mille che lui ha fatto quella cosa che ti fai squillare il telefono da chi vuoi tu. Esiste una cosa che tu lo imposti e scrivi per esempio che ti chiama George Clooney. E se vuoi puoi mettere pure la foto di George Clooney. Antonio gli dava man forte e diciamo si sono messi a parlare. Loro volevano che io dicessi ah cioè ti chiama, ma che fa siete amici? Di qua di là, cioè che io interagissi con loro come avevo fatto quando lui mi parlava del nipote. Mi impressiona perché lui è number one, potente. E’ chiaro che in questo momento sta lottando con tutte le sue forze, con questi metodi però…”.