Negli ultimi tre mesi abbiamo pensato solo al coronavirus. Ma nel frattempo la macchina infernale del cambiamento climatico non si era affatto fermata. Continuava a lanciare i suoi fragorosi avvertimenti, ma noi ci tappavamo le orecchie. Eravamo troppo presi dalla paura del contagio e da quella, forse ancor più grande, dell'incerto futuro della nostra economia. Ma il riscaldamento globale se ne fregava dei nostri timori e della nostra sordità, e sferrava mazzate sempre più potenti contro le porte delle nostre città assediate. E i titoli “climatici” scivolavano sul fondo dei notiziari, come flebili echi di vecchie storie ormai prive di interesse. A chi poteva importare, per esempio, che una ricerca scientifica internazionale avesse dimostrato che la massa nevosa sui monti del nostro pianeta fosse diminuita di oltre il settanta per cento negli ultimi decenni? Tanto, si diceva, quel che importa, ora, è che la macchina dell'economia riparta, che il Pil torni a crescere, che la domanda di petrolio risalga ai livelli normali, che gli aerei solchino di nuovo i cieli come fitti stormi di uccelli migratori. Eccetera, eccetera.
Negli ultimi giorni, però, le grida laceranti del clima impazzito si sono alzate e moltiplicate in modo impressionante, fino a toccarci da vicino. Guardate il breve video pubblicato insieme a questo articolo: è il diluvio torrenziale che due giorni fa, battendo per cinque ore, ha inondato una buona parte dell'area nord di Milano, facendo esondare il Seveso e il Lambro. Mai si era visto il Duomo grondare acqua in quel modo follemente vorticoso. Sembrava che l'immenso tempio di granito stesse per affogare, per disarticolarsi sotto la sferza furiosa della tempesta. Nel mese di maggio! Per tradizione mite e sereno.
E all'altro capo dell'Italia, mentre l'uragano tropicale si abbatteva su Milano, la nostra Sicilia era battuta da uno scirocco furibondo, carico di calore e di sabbia del deserto africano. A Palermo la temperatura toccava e perfino superava i 40 gradi, mentre sulle alture vicine scoppiavano gli incendi, rabbiosi al punto da rendere necessario l'intervento dei Canadair. Mentre in mare un piccolo peschereccio affondava, travolto da onde terribili, trascinando nel naufragio le vite di tre pescatori salpati dal porto di Terrasini. E quando mai erano accaduti dei simili fenomeni, prima d'ora? A metà maggio?
Il monito è chiaro. Il clima impazzito ci sta dicendo: umani, la pandemia che state soffrendo non è che un sintomo, uno dei tanti sintomi, della catastrofe climatica in atto. È quello il vero problema. Avete invaso l'aria di gas serra, plastificato i mari, asfaltato e cementificato le terre, devastato le foreste e decimato la biodiversità per fare spazio alle monocolture e agli allevamenti intensivi, rubato lo spazio vitale agli altri animali, e vi state moltiplicando in modo assurdo e suicida. E io mi vendico: renderò la vostra aria irrespirabile, imbottirò gli oceani di plastiche, vi sottoporrò allo stress continuo di eventi climatici estremi, innalzerò il livello dei mari, farò avanzare la desertificazione, moltiplicherò le pandemie, non vi darò tregua fino a quando tutti, ma proprio tutti, griderete anche voi: ma che cosa abbiamo fatto?
Siamo sull'orlo dell'abisso, ma siamo ancora in tempo, forse, per ritrarre il piede dall'ultimo folle passo. Ciascuno di noi può fare la sua parte. Cominciando a pensare e a progettare la propria vita in modo diverso. Così che anche il sistema economico sia incoraggiato a orientarsi in modo diverso. Lo slogan dei giovani che protestano contro il global warming è: abbiamo un pianeta solo. La nostra meravigliosa Terra. Che altro c'è da dire? Mettiamoci all'opera. Inventiamoci una vita nuova. È una scelta obbligata: la dobbiamo ai nostri figli, alle generazioni future, ai nostri fratelli animali, alle sorelle piante, a tutte le creature che ora stanno soffrendo come e più di noi.
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