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08/03/2020 06:00:00

Saranno le donne a salvare il mondo?

La donna che vedete in questa foto si chiama Priti Patel, è un'inglese figlia di indiani profughi dall'Uganda, ed è la ministra dell'Interno del governo di Boris Johnson. Mi rendo conto che parlare di lei, proprio oggi che è la festa dell'otto marzo, equivale per me come ad avventurarmi in un campo minato. Ma tant'è. Starò molto attento a non poggiare i piedi nei punti sbagliati. E se mi espongo al rischio è perché credo che una sana riflessione possa dare più frutti di una pur giusta e doverosa celebrazione.

Diciamo subito allora, per andare dritti al cuore del problema, che la signora Patel è una delle persone più odiate e temute del Regno Unito. E non solo dai suoi avversari politici, ma anche dai militanti del suo stesso partito. La ragione? È una bulla all'ennesima potenza. Una che ha una concezione a dir poco brutale del potere. Da anni il “bubbone Patel” covava sottotraccia, finché pochi giorni fa è clamorosamente esploso con le dimissioni di Sir Philip Rutman, il direttore generale del ministero degli Interni britannico. Esasperato dagli atti di bullismo della ministra, Rutman ha deciso di vuotare il sacco accusandola addirittura di “comportamenti bestiali” nei confronti del suo staff.

Giovedì scorso Luigi Ippolito, corrispondente da Londra del Corriere della Sera, nel riferire la vicenda ricordava che alcuni anni fa, quando Patel era sottosegretaria all'Occupazione, avrebbe addirittura spinto una sua impiegata a tentare il suicidio. E questo non stupisce, se si pensa che la ministra è una fautrice del ripristino della pena di morte. Ma Boris Johnson si ostina a difenderla, per il semplice fatto che è lei l'autrice della nuova legge britannica sull'immigrazione: un corpo di norme talmente dure e spietate che: “per sua stessa ammissione, non avrebbe consentito ai suoi genitori di stabilirsi in Gran Bretagna”.

E ora veniamo alla nostra riflessione. L'articolo di Ippolito occupava la metà superiore della pagina 18 del Corriere. La metà inferiore era tutta presa invece dall'inserzione pubblicitaria del best-seller femminista di Lilli Gruber, intitolato: Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone. Confesso che l'ardito accostamento, non si sa quanto maligno o casuale, lì per lì mi ha strappato una sonora risata. Sia ben chiaro: io non ho letto il libro della Gruber, quindi ignoro le eventuali sottigliezze dei suoi ragionamenti, e non posso giudicarlo. Quello che invece so abbastanza bene, seguendo quasi ogni sera Otto e mezzo su LA7, è che la simpatica Lilli non perde mai occasione per sostenere che saranno le donne a salvare l'umanità e il pianeta da tutti mali che li affliggono. In soldoni, se non vado errato, ciò che il Lilli-pensiero lascia intendere è questo: quando saranno le donne a esercitare il potere, allora saremo tutti salvi. Democrazia, pace e benessere regneranno incontrastati sulla faccia della terra.

Bene, non la faccio lunga. Stringo, e dichiaro che non sono d'accordo con questa versione manichea del femminismo. E il caso di Priti Patel credo possa valere qui per tutti quelli, storici e attuali, che ho in mente, e che sarebbe stucchevole elencare. Dire che le donne al potere salveranno il mondo è per me una semplice idiozia. Quello che salverà il mondo, invece, sarà a mio parere l'avvento di una cultura in cui i lati migliori delle femminilità – sensibilità, dolcezza, pietà, intuizione, dedizione, attenzione – prenderanno finalmente il sopravvento sui lati peggiori della mascolinità: durezza, insensibilità, violenza, spirito di dominio e di possesso. Uomini e donne, insieme, dovranno partecipare di questa nuova cultura della gioia, del gioco, della non violenza. Non “le donne al potere”, ma “una nuova umanità” al potere. Un'umanità molto, ma molto più femminile di quella attuale, certo. Ma fatta di donne migliori e uomini migliori di quelli attuali. Può darsi che in fin dei conti anche Lilli la pensi in questo modo. Magari un giorno potrebbe dircelo chiaramente.

Felice 8 marzo a tutte e a tutti!

Selinos