Importante operazione antimafia in Sicilia: ben 59 le persone arrestate accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di droga, spaccio, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, violenza e minaccia, reati aggravati dal metodo mafioso.
L'operazione si chiama “Dinastia” e ha coinvolto centri come Barcellona, Milazzo, Terme Vigliatore e anche le isole Eolie. L'indagine ha portato all'arresto di affiliati e gregari della cosca barcellonese che negli ultimi anni ha investito massicciamente nel settore del traffico di sostanze stupefacenti per integrare i guadagni illeciti delle estorsioni.
Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, violenza e minaccia, con l’aggravante del metodo mafioso.
I FIGLI D'ARTE. Tra gli arrestati Vincenzo Gullotti, figlio di Giuseppe Gullotti, che per anni è stato al vertice della famiglia mafiosa barcellonese, condannato in via definitiva a trent’anni per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, e che ha già due lauree sta studiando in cella al 41 bis per avere la terza. C'è anche Nunzio Di Salvo, figlio di Salvatore Di Salvo, che è stato il successore di Gullotti al vertice del gruppo barcellonese. Ma rea i coinvolti ci sono anche tanti giovani, figli di vecchi personaggi di spicchi.
L’operazione rappresenta l’ulteriore sviluppo dell’analisi del territorio tirrenico effettuata in questi anni dalla Procura Distrettuale Antimafia di Messina e dai carabinieri, non soltanto nei confronti della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto ma anche verso gli altri gruppi sparsi sul territorio.
I rampolli mafiosi, figli di boss detenuti, erano a capo di una struttura criminale che operava con metodo mafioso, nel traffico e nella distribuzione di fiumi di cocaina, hashish e marijuana, nell'area tirrenica della provincia di Messina e nelle isole Eolie, anche rifornendo ulteriori gruppi criminali satelliti, attivi nello spaccio minore.
L'operazione ha fatto luce anche su numerose estorsioni messe a segno da anni da esponenti della famiglia mafiosa a commercianti e imprese del territorio barcellonese.
LE ESTORSIONI. Commercianti, imprenditori, agenzie di pompe funebri, ma anche chi vinceva alle le slot machine finiva nel mirino del racket nel messinese. I clan di Barcellona Pozzo di Gotto chiedevano soldi a tappeto, come emerge dall'indagine della Dda di Messina che ha portato all'arresto di 59 persone. A raccontare i particolari delle attività illegali delle cosche sono diversi pentiti come Carmelo D'Amico, Aurelio Micale e Nunziato Siracusa.
I collaboratori di giustizia hanno riferito che due ragazzi, avevano vinto 500mila euro giocando ad una slot-machine installata nel centro scommesse SNAI di Barcellona Pozzo di Gotto. La vincita aveva suscitato l'interesse dell'organizzazione mafiosa barcellonese che si è subito attivata per chiedere il pizzo sull'incasso, riuscendo a ottenere con le minacce 5mila euro.
![](https://gsud.cdn-immedia.net/2020/02/operazione-dinastia-625x350.jpg)
LA DROGA. Gli incassi del racket non sono più sufficienti, le vittime delle estorsioni, in difficoltà per la crisi economica, denunciano. Per questo la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto è tornata a puntare al vecchio business della droga. Emerge dall'indagine della Dda di Messina e dei carabinieri che oggi ha portato in carcere 59 tra capi, affiliati ed estortori delle cosche di Barcellona Pozzo di Gotto.
A rivelare agli inquirenti il rinnovato interesse della mafia per il traffico di stupefacenti sono diversi pentiti come l'ex mafioso Alessio Alesci. "Con le estorsioni non si guadagnava più- ha raccontato agli investigatori - le persone denunciavano e volevano fare con la droga. C'era la crisi e le persone soldi non ne avevano e si è parlato di prendere la droga. La prendeva uno e valeva per tutti, il ricavato andava a tutti".
Dalle intercettazioni - nei dialoghi gli affiliati usavano un linguaggio in codice per indicare lo stupefacente - emerge che la cosca si riforniva di droga in Calabria dalla 'ndrangheta.