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24/02/2020 06:00:00

Nicosia, Vaccarino e quel partito finanziato dai servizi segreti

 L’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, aveva proposto a due Radicali di fondare un nuovo partito finanziato dai servizi segreti.

Il primo è Antonello Nicosia (del quale abbiamo parlato ampiamente), arrestato per mafia ed oggi in carcere col mafioso di Sciacca Accursio Dimino.

Il secondo è l’avvocato Michele Capano, difensore del cognato del latitante Matteo Messina Denaro, Filippo Guttadauro.

 

E’ quanto emerge da un’informativa dei carabinieri del Ros, in seguito alla chiusura delle indagini dello scorso 19 febbraio da parte della procura di Palermo nei confronti dello stesso Nicosia e della parlamentare Giuseppina Occhionero (eletta con Leu e poi passata ad Italia Viva), dapprima interrogata come testimone e poi accusata di falso.

Nicosia, ex collaboratore della deputata, è accusato di avere sfruttato la possibilità di poter far visita nelle carceri, per veicolare informazioni dai mafiosi del 41 bis all’esterno e viceversa.

 

La sera in cui i tre si incontrano per parlare del nuovo partito da fondare è quella del 20 maggio 2019.

Da meno di un mese, Vaccarino era stato scarcerato dal Riesame (oggi, dopo il ricorso della procura è però ritornato in carcere), dopo l’arresto del 16 aprile scorso con l’accusa di favoreggiamento alla mafia, che ha coinvolto anche due carabinieri.

Nicosia e l’avvocato Capano, vanno a trovare Vaccarino a casa, proprio come aveva fatto il colonnello Marco Zappalà uno dei due carabinieri coinvolti in quella fuga di notizie nel 2017. Ma i motivi sono molto diversi.

 

E prima di arrivare a casa dell’ex sindaco, dalla microspia installata sull’auto di Nicosia, i due dialogano sull’effettiva possibilità  di fondare questo partito.

Se ci prendiamo il partito tutti gli altri se ne possono andare a fare in culo – dice Nicosia - se il partito è nostro decidiamo noi cosa cazzo fare”.

L’avvocato Capano è meno ottimista: “Ma i servizi non so se investono su questa cosa, oddio in astratto potrebbe pure essere”.

Secondo Nicosia, Vaccarino avrebbe potuto mettere “trenta, quarantamila euro”. E forse la cosa doveva essere fatta prima: “Noi dovevamo fare l’operazione quando lui era disponibile – aggiunge - ma deve mettere mano al portafoglio, si deve fare dare i soldi da chi sa lui, ci da i soldi e noi facciamo le tessere”.

Insomma, alla fine della cena, l’ex sindaco di Castelvetrano fornisce all’avvocato Capano un buon margine di riuscita: “… io ritengo che ci siano tutte le condizioni, dopodiché, io dico, sono nelle mani di Dio”.

 

Ma in cantiere non c’era soltanto la creazione del nuovo partito.

Secondo il procuratore aggiunto di Palermo, Paolo Guido e i sostituti Calogero Ferrara e Francesca Dessì, Nicosia avrebbe voluto scalzare il professore Giovanni Fiandaca dal ruolo di garante siciliano dei detenuti.

Ed al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede avrebbe voluto proporre  un tavolo tecnico “come osservatorio permanente per gli istituti, dove ci si mette un magistrato, un avvocato, un comandante di carcere”. L’avrebbe voluto incontrare, attraverso delle altre persone di Mazara del Vallo, anche se a qualcuno dice addirittura: “Se ha bisogno di me, mi incontra”.

 

Tutto, secondo l’accusa, per mascherare l’aiuto nei confronti dei boss anche nella trasmissione dei messaggi verso l’esterno.

L’accusa sottolinea come, il 1 febbraio 2019, Nicosia fosse andato a trovare Filippo Guttadauro,  cognato del latitante, nel carcere di Tolmezzo, “… per rassicurarlo del proprio impegno relativo alla sua causa e, a tale scopo, proponendosi anche di presentare un’interrogazione parlamentare per il tramite dell’onorevole”. 

 

E contro Fiandaca la sua diventa una battaglia quasi personale, espressa anche durante la prima relazione annuale sullo stato delle carceri in Sicilia, che il professore aveva illustrato nell’ottobre 2017, dove Nicosia fa un intervento che alla luce di quel che si è saputo dopo sul suo “curriculum”, suona davvero molto singolare:

Io insegno trattamento penitenziario. Lei sa meglio di me che per interloquire con  i detenuti servono persone competenti, che conoscono il mondo del carcere.

Un detenuto al Pagliarelli ha denunciato maltrattamenti, ma nessuno pare che abbia fatto interventi a sua garanzia. Chiedo più tempo per le visite nelle carceri, altrimenti se il garante ha altri impegni può benissimo dimettersi e fare altre cose. Io faccio attività di ricerca, collaboro con l’Università, ma trovo il tempo per farmi autorizzare dal Dap a visitare gli istituti penitenziari. Capisco che ha altri impegni, però l’aver accettato di fare il garante in Sicilia è sicuramente una cosa molto seria, che richiede tanto tempo.”

 

Nessuno però tra i radicali si accorge, al di là della differente matrice politica, dell’abisso tra un giurista della levatura di Fiandaca ed un millantatore come Nicosia, che lo attaccava al solo scopo di sottrargli l’incarico di Garante dei detenuti in Sicilia.

Al punto da organizzare un pullman di persone per protestare  alla Regione: “… dobbiamo fare una manifestazione davanti a Palazzo d’Orleans… chiedere a Musumeci di buttare a pedate questo Fiandaca”.

In passato, Fiandaca, rispondendo ad una lettera divulgata da Nicosia in cui venivano segnalate a Musumeci criticità delle carceri siciliane attribuite al fatto che l’ufficio del Garante non funzionasse, aveva scritto che “Piuttosto che sollevare critiche ingiustificatamente offensive,

il dott. Nicosia farebbe bene a documentarsi recandosi presso l’Ufficio del Garante e constatando

di persona la quantità e la qualità di lavoro che vi si svolge.

 

Era sempre il 2017.

Nessuno si è accorto di nulla, fino a quando l’aspirante Garante non viene arrestato, due anni dopo.

 

Egidio Morici



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