Un sistema compatto, fatto di tecnici e avvocati, con in testa un’associazione di abusivi ed uno scopo preciso: fermare le demolizioni.
Un impegno che non ha mai prodotto proteste di piazza, o plateali resistenze davanti alle case da abbattere ma che, all’occorrenza, ha saputo trasformare una parte degli abusivi di Triscina in paladini della legalità e della difesa dell’ambiente.
Ma le demolizioni al momento non si fermano.
Di certo non a causa del sequestro preventivo di un’area di stoccaggio temporanea di rifiuti provenienti dagli abbattimenti.
Il sito è stato sequestrato qualche giorno fa al Comune di Castelvetrano e alla Cogemat, l’impresa che si occupa dei lavori di demolizione, da parte della procura di Marsala.
E ovviamente non riguarda l’intero cantiere, ma soltanto un perimetro di pochi metri nella via 57.
Si tratta di uno degli ultimi tentativi, frutto di un esposto dell’associazione degli abusivi “Triscina Sabbia d’Oro” che, nel gennaio scorso, aveva chiesto attraverso i loro avvocati Davide Brillo e Valentina Blunda, l’intervento dell’autorità giudiziaria sulla regolarità del sito di stoccaggio.
La temporaneità dell’area era durata forse un po’ troppo. Ma i lavori, che erano stati sospesi per la pausa estiva, sono ripresi in realtà soltanto pochi giorni fa.
Ad ogni modo, saranno le autorità competenti a stabilire se dall’identità di quel sito possano rilevarsi dei reati ed eventualmente a carico di chi.
La tendenza però è evidente: avvelenare i pozzi alla ricerca di quella possibile grave inadempienza dell’impresa demolitrice che possa portare alla risoluzione del contratto con il comune.
Difficilmente un’altra impresa vorrà proseguire le demolizioni.
Nessuno ammetterà mai di voler avvelenare i pozzi. Anzi, l’intento manifesto sarà quello di volerne garantire la salubrità.
Una “garanzia” iniziata forse in modo un po’ troppo creativo, con la bizzarra proposta di “Triscina Sabbia d’Oro” di allontanare il mare attraverso una serie di attenuatori d’onda in cemento armato, che avrebbero allungato la spiaggia e quindi “salvato” le case che, diventate distanti più di 150 metri dalla battigia, sarebbero state finalmente in regola.
Dopo i ricorsi al Tar (una decina) contro il comune e perfino contro il dirigente dell’ufficio tecnico, nel settembre del 2018 si verifica il problema con il Centro Unico di Committenza.
Il comune nomina il dirigente del Cuc, dimenticandosi di comunicare la cosa anche agli altri comuni, che invece si erano parlati tra loro, fino a quando Campobello e Partanna ai primi di marzo avevano formato un Cuc per proprio conto.
Probabilmente gli uffici tecnici, presi da mille cose, si erano dimenticati pure di comunicare alla commissione straordinaria che da marzo nella Cuc non c’era più nessuno.
Dopo un po’, Biagio Sciacchitano di “Triscina Sabbia d’Oro” fa una richiesta molto forte: “Accertare la legalità delle lottizzazioni Volpe e Quartana” ed “attenzionare gli investimenti pubblici che nell’ultimo ventennio sono stati realizzati a colpi di varianti al piano regolatore”.
Su questo versante però, non ci sarà poi alcuna pressione da tecnici, avvocati e cultori della materia.
Le demolizioni però non iniziano, perché c’è un ricorso al Tar da parte di una delle ditte che hanno partecipato al bando. Si tratta della “Di Fiore Rita” di Borgetto che, da ultima in graduatoria, anche se l’avesse vinto spodestando la Cogemat (arrivata prima), non avrebbe comunque avuto alcuna chance di aggiudicarsi i lavori.
Il ricorso viene poi perso. Anzi, peggio, viene giudicato “inammissibile per decorrenza termini”, però è servito a ritardare di alcuni mesi l’inizio delle demolizioni.
Che cominceranno il 3 dicembre 2018.
E subito nasce il caso di un immobile da abbattere, abitato da una coppia di anziani anche d’inverno, con l’ennesimo ricorso al Tar a causa della mancata risposta degli uffici del comune alla richiesta di poter rimanere in quella casa in base ad un presunto diritto di abitazione. Anche in questo caso il comune aveva “dimenticato” di fornire una risposta (seppur negativa) ed il Tar gli impone di farlo, ovviamente senza esprimersi sul diritto all’abitazione e senza negare la liceità della demolizione.
Poi è la volta del manager dell’impresa demolitrice.
Si scopre che è indagato per bancarotta fraudolenta e Sciacchitano scrive al Prefetto chiedendo di fare luce sulla vicenda prima di continuare con gli abbattimenti.
Ma Matteo Bucaria è un dipendente dell’impresa, non un socio. E le verifiche dell’Anac sui soci della Cogemat (inscritta regolarmente nella White List della prefettura) sono inattaccabili. Tutto regolare quindi, sia le procedure di gara che l’aggiudicazione.
Ma qualcosa da dire sulla Ecoinerti (che si occupava invece dello smaltimento dei relativi rifiuti) c’era, perché nell’agosto precedente aveva acquisito il ramo d’azienda della Belice Inerti, la cui titolare era la convivente di Mario Tripoli di Campobello , arrestato nell’operazione Annozero.
Anche queste vicende, arriviamo a gennaio 2019, non danno i risultati sperati.
E le demolizioni continuano, fino ad arrivare a 32 abbattimenti.
Ad aprile tutto si ferma.
Poi arriva lo stop estivo ed il 10 settembre si dimette (formalmente sostituito) il direttore dei lavori Danilo La Rocca. Al suo posto viene nominata l’architetto Daniela Lucentini, che però chiede un anno di aspettativa. Allora ritorna l’ingegnere La Rocca.
E pochi giorni fa ricominciano le demolizioni.
Questa volta il comune ottiene dalla Soprintendenza la disponibilità ad essere presente agli acclaramenti (singole chiusure dei lavori per ogni lotto di demolizione).
E’ come se il comune temesse degli attacchi o delle denunce strumentali e volesse coinvolgere la Soprintendenza per non essere da solo.
Ma alla ripresa delle demolizioni, ecco il sequestro dell’area temporanea di abbancamento rifiuti. Appunto, l’ultimo colpo di scena. Almeno fino ad ora.
Tutto lascia prevedere che ce ne saranno altri, magari collegati al cosiddetto “status quo ante”, del quale ha parlato recentemente il sindaco Enzo Alfano.
Oggi, più che l’aiuto della Soprintendenza, forse sarebbe più utile quello dell’Università di Palermo.
C’è infatti uno schema di accordo di collaborazione a titolo gratuito deliberato nell’aprile scorso dalla commissione straordinaria con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Cliniche e Farmceutiche “per azioni sperimentali di ripristino e riconfigurazione del sistema dunale a seguito degli interventi di demolizione degli immobili abusivamente realizzati nella fascia litoranea di inedificabilità assoluta di Triscina di Selinunte”.
Basterebbe cofirmarlo.
Oggi si continua a parlare di demolizioni “a macchia di leopardo”.
Ma quante macchie ha un leopardo?
Qualcosa di simile ad una risposta è arrivata da quegli altri 250 immobili, presenti nelle foto aeree del 2012, ma assenti in quelle del 1978.
Altre 250 case abusive quindi, censite dalla commissione straordinaria attraverso una comparazione fotografica che il comune di Castelvetrano, in tutti questi anni, si “era dimenticato” di fare.
Tra queste, quante sono state sanate perché dichiarate costruite prima della legge del ’76?
E perché nella foto del 1978 non ci sono?
Siamo sicuri che a coloro che si sono visti buttar giù la casa, interessi davvero che si fermino le demolizioni?
Egidio Morici