Sulla vincenda giudiziaria che coinvolge Paolo Arata e Vito Nicastri, il primo faccendiere ed ex deputato di Forza Italia, il secondo il "signore del vento", sono ancora in corso le indagini in vista dell'inizio del processo per corruzione, fissato per la settimana prossima. Il processo vede come imputati di corruzione Paolo Arata, appunto, il figlio Francesco e i dirigenti dell'assessorato regionale all'Energia, Alberto Tinnirello e Giacomo Causarano. Nicastri e il figlio Manlio, invece, hanno deciso di patteggiare e scelto l'abbreviato.
Tra le indagini della Dda di Palermo viene fuori che Vito Nicastri e l'assessore regionale Mimmo Turano si conoscono da tempo, fatto riferito dallo stesso Turano ai giudici, in quanto è stato socio in alcuni lavori edili negli anni '90 con l'imprenditore al centro dell'indagine.
Nel fascicolo viene riportato anche il viaggio con un aereo privato in Tunisia. A bordo di quell'aereo, oltre a Nicastri c'era Turano, un imprenditore veneto Franco Bogoni e tra gli altri Gioacchino Lo Presti, arrestato con il fratello Ignazio e Salvatore Gambino, figlio di Giuseppe del clan Spatola-Gambino-Inzerillo. I tre vennero accusati di favoreggiamento ad Alessandro Mannino, per il quale Giovanni Falcone aveva firmato due mandati di cattura.
Ma nel corso delle indagini la Dia di Trapani ha raccolto numerose informazioni, finite agli atti del dibattimento anche su alcuni parenti di Turano, il suocero, Michele Di Simone, coinvolto in vicende di mafia ma sul quale non risultano condanne, e lo zio Giuseppe Indovina, che venne condannato a seguito dell'operazione Arca. Da funzionario del Comune di Alcamo, a metà anni ‘90, firmò due false carte di identità, una intestata a Giuseppe Adragna che aveva però la foto del superlatitante di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.