Prendiamo due esempi luminosi di crassa ignoranza: Lucia Borgonzoni e Donald Trump. Quale dei due è il più asino? Difficile dirlo. Entrambi i casi sono sconcertanti. Ma esiste una differenza tra loro. Lucia sta mirando al potere, ma ancora non l'ha acciuffato, e stando ai sondaggi non pare che l'impresa le riuscirà tanto facile. L'Emilia-Romagna sta col fiato sospeso in attesa degli eventi. Schiere di cittadini impauriti fanno gli scongiuri. E si consolano pensando – cioè sperando – che se Lucia perderà non potrà fare danni. Donald invece è al potere dal 2016, e di danni ne ha già prodotti una caterva. Non a una piccola regione o a una nazione, ma al mondo intero, per nostra disgrazia.
Chiarite le differenze, veniamo alle somiglianze. Per essere galanti, cominciamo con la donna. Celeberrima è la prima toppata della Borgonzoni impegnata nella sua dura campagna elettorale: affermò durante un'intervista radiofonica che l'Emilia-Romagna confina a nord con il Trentino. Dunque, non conosceva nemmeno la posizione geografica della regione che aspira a governare. Subito dopo, però, tutti a perdonarla: poverina, è stato solo un lapsus della memoria, un innocente scivolone. E poi chissenefrega dei confini... l'importante è che la Lega, cioè Salvini, mandi finalmente a Patrasso la roccaforte dei rossi.
Ma ecco che due giorni fa la svampita Lucia ricade nell'errore, e stavolta ancor più clamoroso. Dovendo annunciare un suo prossimo comizio a Bologna, pubblica sui suoi account una specie di manifesto elettorale dove si ammirano la sua bella faccia in primo piano, e sullo sfondo il panorama di un incantevole centro storico. Quello di Bologna, ovviamente. O almeno, così lei gagliardamente sostiene. Peccato che non sia vero: la città che si vede nella foto non è Bologna, ma Ferrara. Così Lucia dimostra non solo di non conoscere la geografia, ma anche di ignorare la storia, l'arte, le bellezze, i simboli delle più importanti città della regione che sogna e pretende di conquistare. La perdoneranno anche stavolta? Ma certo, ci mancherebbe. Cosa volete che gliene freghi al popolo leghista della storia, della geografia, della cultura in generale? Non sentenziò forse uno statista preclaro alcuni anni fa che “con la cultura non si mangia”? Avanti popolo, alla riscossa, l'Emilia-Romagna rossa soccomberà!
In quanto a Donald, qui come s'è detto la faccenda si fa oltremodo grave e seria. Quest'uomo che regge, come le Parche coi singoli uomini, il corso fatale della vita mondiale, e dunque dovrebbe in teoria conoscere almeno le nozioni di base di una cultura elementare, questo genio indiscusso della geopolitica universale, fino a poco tempo fa era convinto che la luna fosse un satellite di Marte, tanto per dirne una. Ma lasciamo perdere le sue minchiate pregresse, e veniamo al presente. Cioè alla crisi degli Usa con l'Iràn. È qui che Donald ha dato, a mio modesto parere, la prova suprema della sua poderosa ignoranza. In che modo? Ecco: nel momento più incandescente della crisi, martedì scorso, il presidente minaccia di bombardare i siti culturali iraniani. Tutto qui? Eh, no, magari.
La sparata, in sé, era servita solo per impaurire gli iraniani. O almeno, era così che in molti l'avevano interpretata. Ma il vero punto da meditare riguarda quello che Trump dichiarò subito dopo, quando – anche per la stessa opposizione del Pentagono – fu costretto a smentire l'enorme balordaggine delle sue parole. Ecco quello che disse a tale proposito: “No, non farò bombardare siti culturali dell'Iràn. Ci sono delle leggi internazionali, e io le rispetterò”. Quelle leggi, però, a Donald non piacciono per niente. E infatti aggiunse, in tono di rammarico e di rassegnazione: “Gli iraniani si permettono di uccidere i nostri cittadini, e noi dobbiamo essere delicati con il loro patrimonio culturale!”.
Eccolo il punto. Non fa niente se il presidente degli Stati Uniti minaccia di abbassarsi al livello criminale dei talebani che distrussero le statue dei Buddha di Bamiyan, o degli iconoclasti dell'Isis che bombardarono il sito archeologico di Palmira. Quello che veramente impressiona è che Trump qualifichi le meraviglie monumentali dell'Iràn con l'aggettivo possessivo “loro”: il “loro patrimonio”. È questa la cosa veramente pazzesca. Trump non si rende conto, perché evidentemente non sa, perché brancola nell'ignoranza più nera, che i monumenti dell'Iràn non sono “roba loro”, ma “roba nostra”, roba di tutti, patrimonio altissimo e inestimabile dell'umanità. Per millenni l'Iràn è stato uno dei fari più splendidi della cultura e della civiltà mondiale. Ed è questo che Donald ignora nel vuoto della sua spaventosa arroganza.
Post scriptum: a chi difende Trump osservando che lui è intelligente perché ha saputo fare un sacco di soldi, e che l'economia degli Usa con lui sta macinando successi, risponderei con le parole del principe Mishkin nel romanzo L'idiota di Dostoevskij: “Per fare tanti soldi è necessario essere almeno un po' idioti”.
Selinos