Poteva cominciare peggio di così questo nuovo anno? Certo che no. Col Medio Oriente che di nuovo esplode, con Erdogan che annuncia l'invio di cinquemila soldati in Libia, con le foreste australiane in fiamme, e con decine di altre orribili notizie che in questi giorni ci martellano senza pietà. No, questo nuovo anno non poteva cominciare peggio di così. E tutto, in fondo e come sempre, a causa dell'avidità umana. Dell'insaziabile brama di potere, di possesso e di piacere. L'avidità che San Paolo definiva “la radice di tutti i mali”, e che il Buddha chiamava la fonte del dolore.
E allora, che cosa potrei fare di meglio, in questa prima domenica dell'anno, se non tentare di suggerire ai miei lettori alcune parole che siano come un “balsamo per molte ferite”? (Ho virgolettato questa espressione perché si tratta di una citazione dal meraviglioso Diario di Etty Hillesum, giovane ebrea uccisa ad Auschwitz nel 1943). Sì, ma a quali parole appellarsi? Difficile scelta. I libri sacri, la letteratura mistica e filosofica di tutte le tradizioni abbondano di balsamici insegnamenti. Ma alla fine ho pensato a Lucrezio, al nostro grande poeta e pensatore latino di ispirazione epicurea, e all'incipit del secondo libro del suo De rerum natura. Eccolo:
Suave, mari magno turbantibus aequora ventis...
Dolce, quando sul vasto mare i venti sollevano i flutti, assistere da terra alle dure prove altrui: non che quella sofferenza sia per noi un piacere tanto grande; ma è pur dolce vedere a quali mali si sfugge. Dolce anche osservare i grandi scontri di guerra combattuti nella pianura, senza parteciparne i pericoli.
Ma niente più dolce che occupare saldamente gli alti luoghi fortificati della scienza dei saggi: regioni serene da dove si può abbassare gli sguardi sopra gli altri uomini, vederli errare da tutte le parti, cercare a tentoni il cammino della vita, competere in genialità, disputarsi la gloria della nascita, sforzarsi notte e giorno, con fatica senza pari, di elevarsi al colmo delle ricchezze o di impadronirsi del potere.
O miserabile spirito degli uomini! O cuore cieco! In quali tenebre, in quali pericoli trascorre quel breve istante che è la vita! Non sentite quel che grida la natura? Reclama forse altra cosa che l'assenza di dolore per il corpo e una sensazione di benessere, senza inquietudini e timori, per lo spirito?
I corpi, lo vediamo, abbisognano di ben poco: quel che può sopprimere il dolore è anche capace di procurargli uno squisito piacere. La natura non reclama niente di più. Se nelle nostre dimore non vi sono statue dorate di giovani a reggere nella destra fiaccole accese per rischiarare orge notturne, se la nostra casa non brilla tutta d'argento, tutta lucente d'oro; se le cetre non ne fanno risonare le vaste sale adorne e dorate: a noi basta, distesi fra amici su tenero tappeto erboso, presso un'acqua corrente, sotto i rami di un grande albero, poter appagare gradevolmente e con poco la nostra fame, specie se il tempo sorride e la stagione cosparge di fiori le erbe verdeggianti.
Ecco, vi lascio a questo nuovo anno di follie con il conforto di queste dolci parole. Auguro a voi e a me stesso di non dimenticarle mai. Di non cedere mai allo sconforto, e di concepire come fine della vita quello di “occupare saldamente gli alti luoghi fortificati della scienza dei saggi”.
Selinos