Mai come nei giorni tra Natale e Capodanno s'affacciano alla nostra mente degli strani pensieri. Accade a molti, specie a chi è già in là con gli anni, di ripensare alla vita passata, agli errori commessi, alle occasioni perdute. “Ah, potessi tornare indietro di dieci, di venti, di cinquanta... di settant'anni!”. “Potessi cominciare dal primo gennaio a vivere una vita completamente nuova!” Accade quasi a tutti, nell'ultima settimana di dicembre, di concepire nell'animo questo sogno strampalato. E perché strampalato? Ma è chiaro: perché di una pura fesseria si tratta. Di un'idea assurda. E di nient'altro.
Dissero un tempo i saggi che il nostro carattere è il nostro destino. Ed è proprio questo il punto centrale della questione. Tranne che nelle favole raccontate dal guru Yogananda, avete mai sentito voi di una tigre diventata vegetariana? La conversione del cuore, quella autentica, è un'avventura riservata ai santi. E infatti solo a certi santi, come Francesco d'Assisi o Teresa de Avila, fu concesso il prodigio di levitare. Solo ai maghi dell'alchimia, come Nicolas Flamel, fu dato di trasformare il piombo in oro. Noi comuni mortali, inchiodati al peso della nostra natura, possiamo solo accontentarci, nel volgere faticoso del tempo, di imparare a controllare i nostri impulsi peggiori, a correggere almeno un poco i nostri difetti più deleteri. Fino a quando, nel migliore dei casi, avendo finalmente appreso l'arte di vivere, ci tocca d'imparare in fretta quella di morire.
È d'obbligo qui rammentare il celebre Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere, di Giacomo Leopardi. Sappiamo qual è il succo che il poeta ne trae: “Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso comincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice”. Speranza, dunque, che aiuta a vivere. Consapevole gioco dell'illusione. Ma c'è un altro punto del dialogo che forse è più profondo e importante: è quando il “passeggere” invita il venditore a considerare che nessuno: “avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta”, vorrebbe tornare indietro. E allora, eccolo qui il vero problema. Nessuno vorrebbe rifare “la stessa vita” già fatta. È proprio vero questo? Oppure è proprio così che si può aprire il campo onirico dell'immaginazione?
Ci provò un secolo fa un filosofo e romanziere russo a immergersi con vigore fantastico in quell'idea. Si chiamava Piotr Ouspenki, ed era nato nel 1878. Votatosi alla teosofia, divenne nel Novecento il più accanito sostenitore della psicoterapia mistica di Georges Gurdjieff (1872-1949): corrente di pensiero che ebbe una certa diffusione anche in Italia negli scorsi anni Settanta e Ottanta, ed esercitò, per esempio, una forte influenza sulla spiritualità di Franco Battiato. (Innamorato di Gurdjieff, Battiato promosse la divulgazione delle sue opere con la casa editrice “L'Ottava”, che ebbe vita breve, e fu attiva tra il 1985 e il '95).
Ebbene, Ouspenski nel 1915 pubblicò un romanzo dal titolo intrigante: La strana vita di Ivan Osokin. La vicenda comincia in un viale di San Pietroburgo. Ivan, il protagonista, è un uomo di una certa età, frustrato, insoddisfatto della sua vita. Tante volte ha sognato di ricominciare tutto daccapo, ma ovviamente senza mai riuscirvi. Ma in quel viale, quel giorno – sarà stato alla fine di dicembre, chissà! – Ivan vede la targa di un “mago” sul fianco di un portone. Preso da fatale impulso, entra in quella casa e si fa ricevere dal mago. Gli espone i suoi tormenti, e quello gli propone l'ovvia soluzione: tornare neonato, nella culla, e ricominciare la vita da lì. Ma con tutta la consapevolezza accumulata in decenni di esperienza. Per non ripetere più gli stessi errori. Per dare alla sua vita uno sviluppo e un esito del tutto diversi e migliori.
Ivan accetta. Ed è qui che comincia la sua “strana vita”. Perché strana? Perché il bambino, e poi il ragazzo, e poi il giovane, e infine l'uomo maturo, giorno dopo giorno, mese dopo mese e anno dopo anno, non fanno altro che ripetere fatalmente e implacabilmente gli stessi errori che Ivan aveva compiuto nella sua prima vita. Altro che mettere a frutto l'esperienza! Giunto agli snodi essenziali dell'esistenza, posto di fronte alle scelte cruciali della vita, Ivan ricade sempre nelle stesse decisioni, ricalca perfettamente le orme già impresse sul suo cammino. Non esce di un millimetro dal solco che aveva tracciato nella sua vita precedente. Non è in grado di modificare il suo destino.
E la ragione è semplice: Ivan è sempre Ivan. È nato in un certo luogo, in un certo giorno, in una certa famiglia. L'ambiente, la cultura e le circostanze in cui si trova sono sempre gli stessi. E il suo carattere è quello. E non c'è niente da fare per uscire da quella gabbia. Teologicamente, potremmo evocare il tema della predestinazione. Psicologicamente, quello del determinismo psichico. Ma la realtà è comunque sempre quella. Alla faccia del sogno assurdo di una “vita nuova”.
Almanacchi nuovi! Almanacchi! Eccola allora l'unica vera speranza. Che altro ci resta, infine, se non l'accettazione serena del nostro destino? (La volontà di Dio, diremmo in termini religiosi). E non consiste forse in questo semplice, eppur difficilissimo passo, il vero, unico, possibile inizio di una vita nuova?
Selinos