La Regione Sicilia potrà spalmare in dieci anni il disavanzo da oltre due miliardi ricostruito dalla Corte dei conti nelle carte del consuntivo 2018. Ma a patto di chiudere entro 90 giorni con il governo una nuova intesa con lo Stato su «specifici impegni di rientro dal disavanzo» e su un obiettivo di riduzione strutturale della spesa corrente dal 2020. Altrimenti si dovrà ripianare il rosso in tre anni.
Suona così l’accordo trovato ieri in Consiglio dei ministri dopo l’ennesimo tira e molla interno alla maggioranza. Da una parte si è esposto soprattutto il Pd, dal ministro per il Sud Giuseppe Provenzano al titolare degli Affari regionali Francesco Boccia, che ha preparato il provvedimento per il ripiano decennale.
Contro si è schierata Italia Viva, chiedendo con il responsabile economico Luigi Marattin di modificare una norma che avrebbe rappresentato «un dito in un occhio a tutti gli amministratori pubblici che si fanno in quattro per rispettare le regole». Di qui il compromesso, in cui si fissano vincoli che secondo fonti Pd sarebbero stati comunque previsti dall’insieme di norme che provano a regolare i rapporti finanziari con Palermo. Il decreto istituisce anche il collegio dei revisori dei conti di cui la Sicilia, a differenza degli altri enti pubblici anche se minuscoli, ha finora fatto a meno nonostante un bilancio da 20 miliardi . Ma andiamo con ordine, per quanto è possibile nelle vicende intricate della sofferente finanza pubblica siciliana.
A definire i termini del problema è la relazione depositata dalla Corte dei conti siciliana il 13 dicembre sui conti della Regione. Bastano due dati: 1.103.965.100,71 euro di vecchio disavanzo non ripianato nel 2018, e 1.026.618.749,46 euro di nuovo deficit con cui si è chiuso lo scorso anno; figlio però anche questo in larga parte delle eredità degli anni precedenti, e degli accantonamenti chiesti dalla Corte per puntellare questi buchi.
Coprire la voragine in tre anni significherebbe bloccare 700 milioni all’anno di spesa corrente. Ma la spesa siciliana è rigida, perché viene assorbita da stipendi e attività di base mentre i servizi aggiuntivi sono al lumicino. Di qui il rischio di far saltare il banco.
Il governo decide allora di allungare l’orizzonte fino a 10 anni, in modo da alleggerire la rata annuale. E lo fa con un decreto legislativo, strumento che serve ad attuare lo Statuto autonomo e non passa da un voto in Parlamento (è previsto un esame nelle commissioni). Non è esattamente un inedito per la finanza locale italiana, che spesso ha offerto anche 30 anni di tempo per coprire i buchi aperti dalla cancellazione delle entrate ormai impossibili da riscuotere oppure per restituire i prestiti di Mef e Cdp per pagare i debiti commerciali. I tempi lunghi appianano i problemi immediati, ma scaricano sul futuro i conti del passato. Di qui le obiezioni di Italia Viva.
Che poggiano anche su un precedente politico. Nella lunga storia degli accordi finanziari fra il Governo e la Regione un capitolo importante è scritto nel 2016. Quando il governo Renzi dice «sì» a una richiesta storica di Palermo, quella di calcolare l’Irpef da lasciare in Regione sulla base del gettito maturato e non di quello effettivamente riscosso, con un cambio di rotta che nel 2018 ha fatto aumentare del 3,5% le entrate tributarie siciliane. Ma in cambio chiede di tagliare del 3% all’anno la spesa corrente e di applicare anche nell’Isola la riforma Madia sulle partecipate. Ma questi obblighi sono stati cancellati dalla legge di bilancio dell’anno scorso con un emendamento di Stefania Prestigiacomo (Fi).
Ora si torna agli obiettivi concordati, da definire nei prossimi tre mesi. Sperando che questa volta funzionino. Perché i precedenti non sono incoraggianti. L’ultimo «storico accordo» con la Sicilia, come si legge nel comunicato scritto dal ministero dell’Economia in quell’occasione, risale al 19 dicembre 2018. Concedeva a Palermo 540 milioni da girare a Province (lì si chiamano «liberi consorzi» ) e Città metropolitane per la manutenzione di strade e scuole, chiedeva di aumentare gli investimenti del 2% all’anno e permetteva di spalmare il vecchio disavanzo (quello prima del 2018) in 30 anni. «Obiettivo dell’intesa – spiegava sempre il Mef – è risolvere l’annosa questione tributaria tra Stato e Regione». Ma le questioni siciliane, evidentemente, sono troppo «annose» per trovare soluzione in fretta.
Gianni Trovati - Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2019