Si torna a parlare dell'assurdo progetto di creare un nuovo porto turistico a San Vito Lo Capo. Vicenda tempo fa denunciata da Tp24 e poi ripresa da molte testate nazionali.
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Adesso se ne occupa anche Il Fatto Quotidiano, sul suo sito, nel blog "Ambiente e Veleni" curato dallo scrittore Fabio Balocco:
"Ci si preoccupa del consumo di suolo in Italia. Sacrosanto, visto anche l’ultimo rapporto Ispra. Ma non abbastanza del consumo del mare, che peraltro si riflette in un consumo della costa e quindi del suolo. Al riguardo è esemplare il caso dei porti turistici cui alcuni colleghi e io abbiamo dedicato un’apposita pubblicazione. Se torno sull’argomento è perché c’è in ballo un nuovo progetto (uno dei tanti, peraltro) che pare più assurdo degli altri: il nuovo porto turistico di San Vito Lo Capo (Trapani).
In questa magnifica località siciliana che vive di agricoltura, pesca, ma soprattutto turismo, esiste già un piccolo porto turistico. E diciamo pure che i suoi danni li ha già arrecati. Il porticciolo fu realizzato nel 1953 e negli anni fu allungato il frangiflutti alla sua entrata. Risultato: in circa 40 anni la bellissima spiaggia corallina di San Vito Lo Capo, a causa della sinergia dell’avanzata del centro abitato e dell’erosione marina, è arretrata di ben 30 metri.
E adesso? Adesso un nuovo porto. O per lo meno questo è quello che propone la Marina Bay s.r.l., società nata a Trapani nel 2017, avente a oggetto operazioni in campo immobiliare. Data infatti al 9 gennaio 2018 la pubblicazione all’Albo pretorio del Comune di “istanza intesa a ottenere la concessione per atto formale per 48 anni, per la realizzazione e gestione di una struttura portuale turistica nel Comune di San Vito Lo Capo, per un totale di mq 114.986,73 così suddivisi: mq 64.431,63 di specchio acque, mq 42.838,23 di area demaniale marittima e mq 8.716,87 di area demaniale comunale, completamento e la realizzazione e la gestione di una struttura per la nautica da diporto”. Istanza appunto presentata dalla Marina Bay.
In pratica, il progetto prevede la cementificazione di parte della spiaggia e la costruzione – sempre nella fascia costiera del paese – di tutta una serie di immobili destinati a parcheggio, centri commerciali, negozi, hotel e ristoranti. Un film già visto in tante altre località del nostro ex Belpaese laddove si privatizza il mare, si cementifica la costa, si innesca un fenomeno di inquinamento delle acque e di erosione della costa.
Una differenza però rispetto ad altre località a San Vito Lo Capo c’è ed è il fatto che la cittadinanza non rimane inerte. Immediatamente dopo il deposito dell’istanza, l’Associazione Operatori Turistici di San Vito Lo Capo si muove sia a livello amministrativo sia cittadino con una raccolta firme che raggiunge quasi 2mila aderenti su circa 4,5mila abitanti del Comune. La stessa amministrazione comunale si dichiara apertamente contraria al progetto in quanto esso dimostra “scarsa coerenza con le politiche di sviluppo economico e di tutela del patrimonio ambientale perseguite dal Comune di San Vito Lo Capo”.
Cambia la giunta a metà 2018 e si insedia quella che era prima l’opposizione, anch’essa contraria al nuovo porto. Cala il silenzio, nonostante debba essere indetta la conferenza di servizi, il cui esito sfavorevole appare scontato. Ad agosto ecco il colpo di scena: il sindaco rinvia la conferenza (già fissata per il giorno 14 del mese) in quanto la società proponente avrebbe comunicato l’intenzione di presentare un nuovo masterplan “al fine di trovare il giusto equilibrio tra investimento privato e interesse pubblico”. Il 19 agosto 2019 nasce il Comitato #NoMarineResort costituito da un gruppo di cittadini che, con oggettive motivazioni, si dichiara contrario alla realizzazione della struttura portuale.
Ma dicevo prima della particolare assurdità del progetto nel caso di specie. San Vito Lo Capo non soffre il fenomeno dell’emigrazione, anzi la sua popolazione è in aumento. In più, il reddito medio nel 2016 era pari a 48.514.326 euro, più che raddoppiato rispetto al 2001, pur appunto aumentando la popolazione.
Quindi la nuova opera neppure può far leva sulla voce lavoro o sulla voce sviluppo. Il porto può portare (scusate il gioco di parole) solo danni (certi) alla comunità e vantaggi (possibili) al proponente: allora, dove sta il senso?