Antonello Montante, l'ex numero uno di Confindustria Sicilia ed ex paladino dell'antimafia, al vertice che quella che viene definita “mafia trasparente”.
Un “ricattatore seriale”. Il capo di un sistema di potere che utilizzava l'antimafia per ottenere posizioni di controllo. E' un giudizio impietoso ad un sistema andato avanti per anni quello messo nero su bianco dal Gup di Caltanissetta Grazia Luparello nelle 1700 pagine della sentenza con cui è stato condannato a 14 anni di carere Montante.
Il Gup interpreta chiaramente quella che è stata l'attività criminale dell'ex paladino dell'antimafia introducendo nuovi concetti, nuove letture su un sodalizio criminale fatto di ricatti, dossieraggi, di coinvolgimento dei personaggi delle forze dell'ordine.
Nelle motivazioni della sentenza si legge che Montante “ha dato vita a un fenomeno che può definirsi plasticamente non già quale mafia bianca,ma mafia trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e periò in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle misure comuni”.
L'ex numero uno di Confindustria Sicilia era anche a capo di una struttura di potere occulto: “Montate è stato il motore immobile di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che, soto le insegne dell'antimafia iconografica, ha sostanzialmente occupato, mediante la corruzione sistemica e le raffinate operazioni di dossieraggio, molte istituzioni regionali e nazionali”.
Ancora il Gup parla di “quadro desolante”. Quello di un uomo, Montante, “che di mestiere faceva il ricattatore seriale” attraverso la raccolta incessante di dati riservati, documenti, registrazioni di conversazioni”.
Una mafia trasparente, quindi, la definisce il Gup di Caltanissetta. Con Montante che poteva disporre di ufficiali di polizia, carabinieri, finanza. Il Gup esprime “un giudizio assai severo sul particolare allarme sociale provocato dal sodalizio, e ciò in ragione della finalità delittuosa ad ampio spettro perseguita: eliminare il dissenso con il ricorso all'uso obliquo dei poteri accettativi e repressivi statuali, sabotare le indagini che riguardano gli associati, praticare la raccolta abusiva di dati personali riservati, corrompere in maniera sistematica i pubblici ufficiali”.
E' lucido, brillante e talvolta sottilmente ironico il Gup nelle 1700 pagine di motivazioni della sentenza. Soprattutto quando analizza in maniera chiara l'uso che ha fatto Montante dell'antimafia. Scrive infatti il Gup che “va doverosamente riconosciuto a Montante il diritto d'autore sulla nascita dell'Antimafia confidustriale quale forma di business utile a garantire un posto ai tavoli che contano”. Continua il giudice che “nella mafia venivano confinati tutti gli eretici alla religione di Montante volta alla costruzione di un sistema di potere formalmente orale ma sostanzialmente egocratico, mentre antimafia era diventato il santuario degli osservanti morigerati del pensiero di Montante che utilizzavano le audizione in commissione antimafia e la sottoscrizione di codici etici come pratiche liturgiche”. In sostanza chi stava con lui era del bene, tutti gli altri erano dei mafiosi.
La maschera però è caduta, il castello è crollato, la mafia trasparente di Montante è diventata più visibile.