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06/10/2019 06:00:00

Odio, amore e carità

Scriveva qualche giorno fa Dacia Maraini sul “Corriere della Sera” che al giorno d'oggi la parola odio sembra andare molto più di moda della parola amore. E come non essere d'accordo con quella donna dolcissima e acuta, figlia di quell'uomo arguto e meraviglioso che fu Fosco Maraini? Eppure, soffermiamoci un momento sul verbo centrale di quella frase: “sembra”. Ecco, tutto forse dipende da quel timido appellarsi all'apparenza: sembra, sì, appare, forse è davvero l'odio che vince, ma nessuno può averne la certezza. Anzi. È proprio a quel “sembra”, a quel dubbio, che si aggrappa, invincibile, la nostra speranza. La speranza che in fondo al gorgo oscuro del cuore immenso e tumultuante dell'umanità la fonte di vita dell'amore non sia ancora del tutto inaridita. Che là, in quegli abissi che Charles Baudelaire pensava inesplorati (“homme, nul n'a sondé le fond de tes abîmes”), possano ancora celarsi ricchezze di inimmaginabile splendore.

E allora, come può la mente non correre, come assetato verso una sorgente d'acqua pura, verso le parole del capitolo 13 della Prima Lettera ai Corinzi di San Paolo? Eccole, rileggiamole insieme:

Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
Quand'ero bambino, parlavo da bambino, sentivo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato.
Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza, la carità; ma di tutte più grande è la carità (maior autem horum est charitas).

Cristiani o non cristiani, credenti o non credenti, come possiamo negare che sia questa e solo questa la vera essenza della carità, ossia dell'amore? E che solo da quella fonte segreta possano derivare la fede che fortifica e la speranza che rasserena? Ecco forse il vero motivo per cui Severino Boezio e Sant'Agostino vedevano nel male, e perciò anche nell'odio, un non essere, un ente privo di consistenza e dignità ontologica. Ecco perché nel Gayatri Mantra vedico l'anima si appella al “grande sole carico di amore” (“Tat savitur varen yam”) come alla suprema fonte della sapienza, che con la sua luce cancella le tenebre dell'odio e dell'ignoranza.
Amore, l'unico essere degno di questo nome. L'amore che è paziente, rispettoso, benigno, e non invidia, non si vanta, non si adira, e si compiace solo della verità.

Selinos