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27/09/2019 06:00:00

La storia della Grotta del Pozzo di Favignana. Chiusa e abbandonata, e per visitarla...

“Sinceramente, non ne sapevo nulla”. Ci risponde così il sindaco di Favignana, Giuseppe Pagoto, quando gli riveliamo che la famosa Grotta del Pozzo dell’isola egadina già da un po’ di tempo non è più sotto la sua gestione, ma è passata nelle competenze del Parco Archeologico di Lilibeo - Marsala.

In verità, quasi nessuno s’è accorto di questa curiosa attribuzione dovuta al decreto regionale del giugno di quest’anno che istituisce l’autonomia dei Parchi. A firma - è bene ricordarlo - di Nello Musumeci in persona, nelle vesti di assessore ad interim dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana.


Ma per addentrarci passo passo nella singolarità del caso
, molto più grave di quanto si possa inizialmente pensare, procediamo con ordine. La Grotta - di assoluta rilevanza scientifica perché custodisce al suo interno un’iscrizione neopunica del I secolo a.C. e altre iscrizioni e figure paleocristiane - si trova proprio accanto al cimitero della città. Anche se ad evidenziarlo non c’è alcun tipo di segnaletica. Si vede soltanto una casa di mattoni, con il tetto spiovente, difesa da un basso recinto di pietre. Le finestre sono sbarrate e sulle due porte che dovrebbero consentire l’ingresso al sito c’è scritto “Museo/Museum”, su una, e “Museo chiuso/Closed museum”, sull’altra.

 


E se a un interessato isolano o a un improvvido turista oggi venisse in mente di visitare la Grotta, cosa dovrebbero fare?
Possiamo cominciare a fantasticare.

Se riuscissero senza indicazioni a trovare il posto, magari dotandosi di Google Maps o più semplicemente del loro fiuto, si ritroverebbero davanti a due porte serrate con due cartelli che avvisano esclusivamente dell’esistenza del museo e della sua ineluttabile chiusura. A questo punto, soltanto i più illuminati saprebbero di dovere cercare su internet il numero del Parco Archeologico di Lilibeo (e non quello del Comune di Favignana), perché da Marsala si attrezzino a mandare qualcuno del loro personale per permettere la fruizione della zona archeologica. Quest’uomo dovrebbe solamente prendere un aliscafo che congiunge i porti dei due comuni o dotarsi di propria imbarcazione, sfidando il mare aperto. E una volta arrivato, dopo solo quaranta minuti, trovare un veicolo che lo porti al sito. La durata complessiva del viaggio è di circa un’ora. Certo, gli aliscafi da Marsala partono soltanto tre volte al giorno. L'idea migliore, quindi, è forse quella di usare una barca propria, anche un gommoncino potrebbe andare bene.

 


Se, invece, dal piano della fantasia si scende verso la più cruda realtà, ci accorgiamo che al di là delle fantasticherie la Grotta del Pozzo si trova in uno stato di totale abbandono. Per superare l’ostacolo delle porte chiuse, l’isolano interessato o l’improvvido turista ha pensato di farsi da sé una scaletta di pietre sovrapposte per scavalcare il muretto circostante senza alcun problema, eccetto quello di franare con la sua stessa architettura. Sopraggiunti allora sani e salvi in mezzo alle sterpaglie di un piccolo cortile, non resta che scendere la ripida e scoscesa scala scavata nella roccia e accedere allo spazio ipogeo. Bisogna però fare attenzione. Sui gradoni è infatti conservato il più importante dei reperti archeologici ritrovati: un pezzo del cartello stradale che “anticamente” indicava la Grotta del Pozzo agli ignari passanti.

Finalmente giù non ci si può astenere dal tentativo di decifrare le oscure e misteriose iscrizioni neopuniche, o paleocristiane, come “OLGA + MICHI”, “LUIGI & ISA”, “ALE E KEKKKA 22-06-2005”. Contornate da quelli che sembrano essere dei cuoricini. Gli archeologi non si sono mai espressi sul loro effettivo valore storico...

 


Dimenticata e vandalizzata, la Grotta del Pozzo sconta un incredibile impasse amministrativo. Da una parte il Comune non può fare nulla perché non ne ha la competenza; dall’altra, però, nemmeno il Parco Archeologico di Marsala oggi può farsene carico sia perché non ha il personale che può occuparsene sia perché, essendo diventato autonomo da appena due mesi, non ha ancora né una tesoreria né i fondi per potere incaricare una cooperativa che si occupi delle visite della Grotta.


La causa di tutto, come spesso succede, sta a monte.
L’autonomia dei Parchi è stata una brillante idea perseguita e in parte raggiunta dal compianto assessore Sebastiano Tusa. La parola “autonomia” legata ai Parchi archeologici si traduce banalmente in questo modo: i Parchi di Sicilia posseggono autonomia finanziaria e scientifica sulle aree che sono state loro assegnate, tutti i proventi ricavati dai biglietti o dalle vendite di gadgets e di libri restano al Parco perché possano essere reinvestiti. Ma anche le idee più intelligenti, se attuate con poca oculatezza, possono creare problemi. Gli uffici dell’Assessorato dei Beni Culturali, quando hanno ridistribuito le aree ai vari Parchi, a Selinunte hanno assegnato le Cave di Cusa, Pantelleria, il Museo del Satiro, Castello Grifeo e l’area archeologica di Roccazzo; al Parco della Valle dei Templi tutte, o quasi, le aree della provincia di Agrigento; a Marsala, oltre al Baglio Anselmi, hanno deciso di affidare unicamente la fantomatica Grotta del Pozzo. Di tutte le proprietà regionali, di tutte le aree demaniali che si trovano sulle Isole Egadi, l’unica area assegnata al Parco di Marsala è stata la Grotta del Pozzo. La situazione spinge tutti a porsi delle domande.

 


In generale: perché a certi Parchi sono state lasciate vastissime aree di competenza e ad altri no? È sbagliato pensare che alcuni Parchi (già molto ricchi per il numero di visitatori) siano stati favoriti dalla ridistribuzione più di altri?


E poi nel concreto: perché, stando sulla stessa isola, la Grotta del Pozzo viene lasciata a Marsala e l’ex Stabilimento Florio no? Perché prima di affidare la Grotta del Pozzo al Parco di Lilibeo l’Assessorato non s’è assicurato che ci fossero le condizioni adatte?

Un breve inciso: dell’ex Stabilimento Florio, grazie a una convenzione stipulata due mesi fa, si occupa il Comune di Favignana della gestione diretta e quindi dei ricavi dello sbigliettamento.


Se la logica dell’autonomia è il fatto che il Parco, come entità vicina al sito, può garantire attività (scientifiche e finanziarie) dirette e immediate, perché non s’è pensato di costituire un vasto Parco che comprendesse le zone di Lilibeo, delle Egadi e magari dello Stagnone? Aprire il più importante Parco archeologico che si affaccia sul Mediterraneo… Simbolicamente sarebbe stata davvero una rivoluzione.


Ma la Sicilia, si sa, nella sua costituzione ha una grande passato di rivoluzioni mancate e di autonomie a metà. E non è riuscita a redimersi dalla sua storia nemmeno stavolta.

 

Marco Marino



Cultura | 2024-07-30 14:55:00
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