Quantcast
×
 
 
19/09/2019 06:00:00

Arrestati in Sicilia i torturatori dei migranti nell'inferno libico di Zawyia

Mesi e mesi di inferno, vessazioni, atrocità, violenze fisiche. Uomini e donne picchiati con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustate e storditi con scariche elettriche. Migranti in viaggio verso la libertà che però finiscono nella rete di criminali e da questi, subiscono brutalmente, ogni genere di violenza che non potranno mai dimenticare, tra gli stenti, la fame e l'aver visto morire connazionali o familiari per malattie non curate o per lesioni e ferite riportate durante la prigionia e durante i pestaggi.

Un vero inferno, quello che hanno vissuto i migranti nelle mani bande di criminali ma che, nonostante la paura, - senza esitazione - hanno riconosciuto in due egiziani e in un giovane della Guinea «gli uomini di Ossama». Agli agenti della sezione "Immigrati" hanno riferito l'orrore vissuto durante la carcerazione.

Ai familiari venivano inviati video e foto delle violenze subite e delle ferite riportate dai propri cari. Genitori, fratelli o sorelle di chi aveva intrapreso il viaggio della vita o della morte per raggiungere l'Italia e per i quali dovevano pagare un riscatto per farli sopravvivere. Se i soldi non arrivavano, il destino era segnato: l'immigrato veniva venduto ad altri trafficanti di uomini che lo avrebbero sfruttato sul lavoro o sessualmente. Ma anche quando il denaro giungeva a destinazione, il rischio - più che concreto - era di tornare ad essere nuovamente catturato dalla stessa banda e di dover versare altri soldi ai carcerieri di Zawyia.  I poliziotti della squadra mobile della Questura di Agrigento sono riusciti, sentendo i migranti sbarcati a Lampedusa, a ricostruire non soltanto le tappe del viaggio dei vari gruppi di profughi, ma anche cioò che accade e che i migranti vivono in Libia.

Gli arrestati - Sono tre gli arresti emessi dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo ed eseguiti - dai poliziotti di Messina - nella serata di domenica all'hotspot della città dello Stretto. I fermati, tenuti già da alcuni giorni sotto stretto monitoraggio da parte della polizia di Stato, sono: Mohamed Condè, alias Suarez, nato in Guinea nel 1997; e gli egiziani Hameda Ahmed di 26 anni e Mahmoud Ashuia di 24 anni. Sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, reato che attribuisce alla Dda di Palermo la competenza a indagare, sequestro di persona a scopo di estorsione, omicidio, violenza sessuale, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e, per la prima volta, sono accusati anche di tortura, reato introdotto nel luglio del 2017.

Le indagini - Le indagini della squadra mobile sono state inizialmente coordinate dalla Procura della Repubblica di Agrigento, con in testa il procuratore capo Luigi Patronaggio e il sostituto Gianluca Caputo. Poi, una volta emersi i reati per i quali è competenti la Dda, il fascicolo è stato, appunto trasmesso a Palermo dove l'inchiesta è stata coordinata dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dal Pm Gery Ferrara.
«L'indagine che ha portato al fermi di tre presunti carcerieri di un lager libico ha dato la conferma delle inumane condizioni di vita all'interno dei capannoni di detenzione libici e la necessità di agire, anche a livello internazionale, - ha detto ieri il procuratore capo di Agrigento: Luigi Patronaggio - per la tutela dei più elementari diritti umani e per la repressione di quei reati che, ogni giorno di più, si configurano come crimini contro l'umanità».

Alcune delle vittime sono sbarcate a Lampedusa il 7 luglio scorso dopo essere state soccorse dalla nave Ong Mediterranea. Altri erano arrivati prima. Tutti hanno riconosciuto i tre presunti carcerieri dalle foto segnaletiche mostrate loro dalla Squadra Mobile della Questura Agrigento che è coordinata dal vice questore Giovanni Minardi.

I tre aguzzini - è stato appurato dall'inchiesta - erano arrivati in Italia qualche mese prima delle vittime. Secondo l'accusa, Condè aveva il compito di catturare, tenere prigionieri i profughi e chiedere ai familiari il riscatto. Era lui che forniva ai profughi il cellulare per chiamare a casa e chiedere il denaro. Ahmed e Ashuia sarebbero gli altri due carcerieri. Secondo quanto è emerso dall'inchiesta, il capo dell'organizzazione si chiamerebbe Ossama e si troverebbe ancora in Libia. Sarebbe lui a gestire il campo di prigionia di Zawyia dove vengono torturati miglia di migranti.