Lo chiamano PD, Partito Democratico, è solo un contenitore privo di idee e pieno di faide. Uomini e donne che non appassionano più nessuno con le loro scomposte litigate.
Non è più nemmeno un partito, è una spartizione di potere, una prova di forza continua. Un potere che chi ce l’ha non sa utilizzare, guardandosi solamente la punta delle scarpe, non alzando mai il naso.
Non ci sono più gli elettori a sostenere un partito che è imploso, una guerra che in Sicilia non è mai cessata, che spesso si è nascosta, e nemmeno tanto bene, dietro le ipocrisie delle campagne elettorali dove si doveva essere tutti presenti e rigorosamente sorridenti.
Diciamolo, non si sono mai sopportati.
E non ci sono nomi da fare, è così. Generalizzato, ovunque e su tutti i territori. Le scelte di volta in volta sono avvenute per comodità mai per convinzione delle idee, una rappresentazione plastica di quella che non dovrebbe essere la vita democratica di un partito.
Nemmeno un’isola felice, ci si confronta, si dialoga, su certi aspetti si resta di opinioni discordanti, ma qui, nel Pd, ogni briciola fuori dal tavolo è momento di crisi e di battaglia.
Il fatto è che tutte queste telenovelas, di bassa leva argentina, non interessano più nessuno.
Non sono capaci, tutti, a indicare una linea alternativa al governo giallo-verde e a proporsi poi all’elettorato, non hanno idee da mettere in campo perché, semplicemente, l’unico campo che conoscono è quello di battaglia.
E sono stanchi i giornalisti pure a raccontare di un Pd che solo mormora, urla, si scompone, commissaria, prende le distanze da altri politici… E’ una di quelle congetture politiche che non hanno più mordente.
E’ cortile allo stato puro, ci sarebbe anche un po' da vergognarsi. Ecco, lo abbiamo detto.
In questi balletti, che sembrano della taranta, sfugge ai più che la prova di forza non produrrà nulla, uno svilimento per il cittadino che dentro le urne sceglierà altro.
Chi sono i renziani? Chi sono i zingarettiani? Non è una partita a squadre, si tratta di due modi di intendere la politica, e poi di praticarla, in maniera diversa, opposta. La convivenza è impossibile da anni, ci si è chinati il capo e si è rimasti smodatamente a lottare per un pezzo di carta già scritto.
Non ci sono alternative ad una scissione, che più tardi arriverà e meno credibilità avrà, con la incapacità, di molti, a non comprendere che taluni renziani sono talmente inflazionati che dovrebbero da soli fare un passo indietro. Un nome su tutti? Maria Elena Boschi, l’ex Ministro. Brava e preparata lo è, l’ascendente sugli italiani non c’è, e allora si dovrebbe ricostruire. E come? Lontano dai riflettori, lavorando dietro le quinte, mandando avanti facce che hanno presa sulla collettività. Questi sono gli errori che ripercorrono i renziani, di volta in volta, con la differenza che stavolta a proteggerli in caso di elezioni non sarà Matteo Renzi, le liste verranno fatte da altri. Cosa significa questo? Che gli uscenti non troveranno posto? Certo che verranno candidati, non in posizioni utili per il seggio.
E’ questa la politica che si gioca in casa Pd, è inutile negarlo ed è inutile che continuino a litigare per qualcosa che non legge più nessuno. Le scelte coraggiose magari non premiano nell’immediato ma hanno indiscutibilmente il sapore di una vittoria.
Farsi laboratorio di un’ Italia che vorrebbe una valida opposizione, che non c’è, di un contenitore moderato che guardi alle forze riformiste non spostate troppo a sinistra, che non c’è. Essere il partito dell’alternativa.
Ecco, tre buoni motivi per dire che il Pd ha fallito. Se dopo un anno e mezzo dalle elezioni non è stato in grado di costruire nemmeno uno straccio di stabilità, ma ci si è solamente guardati bene da non farsi rubare lo sgabello dal compagno di partito, qualcosa vorrà dire.
E cosa ha indicato la direzione nazionale di venerdì? Che in molti si sono allineati a Nicola Zingaretti, che i renziani sono sempre più isolati e che se non faranno adesso il salto affonderanno dentro le sabbie mobili.
Vittime si, di se stessi.