Il commissariamento del Pd siciliano passa per un prossimo e imminente inciucio dei dem con il movimento Cinque Stelle, lo dice in conferenza stampa Davide Faraone, ex segretario regionale.
Sembrerebbero queste, secondo il senatore renziano, le motivazioni che hanno indotto la commissione di garanzia nazionale ad epurarlo dalla segreteria regionale.
Sia Dario Franceschini, ex Ministro, che Peppino Lupo, capogruppo all’ARS, hanno rilasciato delle interviste in cui chiaramente dicono di non disdegnare un accordo con i pentastellati.
Allo stesso accordo, ci dicono da ambienti romani, non starebbe lavorando Luigi Di Maio ma Roberto Fico, presidente della Camera dei Deputati.
E’ questo il punto di non ritorno dei renziani, che mantengono la linea di sempre: nessun accordo con i grillini.
Faraone commette un errore quando in conferenza stampa sottolinea questo come aspetto dirimente al suo commissariamento, dimenticando che le correnti del suo partito sono talmente tante, e tutte opposte al suo pensiero, che il provvedimento non giunge inaspettato ma annunciato da mesi, rimandato solo di settimana in settimana.
Rimanerne sorpresi non è il caso.
Difficile che il fuoco incrociato dentro il Pd potesse portare ad una tregua, nessuna resa da parte dei notabili e di chi vede nelle segreterie, comunali, provinciali e, quindi, regionali tasselli importanti da ricoprire per decidere liste e candidature per le prossime competizioni elettorali.
L’accordo politico con i Cinque Stelle è uno dei motivi ma non il solo, Faraone non può liquidare la questione in maniera semplicistica.
Quel partito, in cui ogni dem rappresenta una idea politica diversa, è una casa in fiamme da anni, ognuno si assuma la responsabilità di quello che è avvenuto, lo facciano alla luce di chi ha deciso di rimanere mentre il soffitto crollava.
In ogni disastro si contano i morti e i feriti, un divorzio che era nelle cose ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di proseguire per la forza dei numeri impetuosi, che dettano la linea alle urne.
È il punto di non ritorno. Per Faraone non ci sono stati altri motivi al commissariamento, si tratta di una scelta politica e non di irregolarità alle regole delle primarie di dicembre, una epurazione dettata dalla sua vicinanza a Matteo Renzi.
Il senatore dem si autosospende dal Pd, consegna la tessera, non si interesserà più, dice, del partito a livello siciliano, in termini pratici non significa nulla perché, tiene a sottolineare, continuerà la sua battaglia fuori la segreteria, vicino alla gente ma lontano dallo scontro.
La scissione è in atto, dopo l’estate potrebbe sorgere un nuovo contenitore politico dove convergeranno i renziani e i moderati, Renzi dalla sua pagina facebook ha chiarito la posizione su un eventuale accordo Pd-Cinque Stelle: “Senza di me”.
A rispondere a Faraone è direttamente il movimento Cinque Stelle regionale: “Toh, c’era un segretario regionale del Pd? Se non fosse stato per il benservito del Nazareno non ce ne saremmo neanche accorti e con noi probabilmente la stragrande maggioranza dei siciliani, tesserati e simpatizzanti del Partito democratico compresi. Ora scopriamo che parla pure, pretendendo di indossare i panni dello statista che in tanti anni al servizio di Renzi nessuno gli ha mai intravisto. Su una cosa siamo d’accordo, noi e lui non potremmo mai avere gli stessi valori, anche perché per averne di uguali dovremmo supporre che qualcuno lui lo abbia mai avuto”.
Dichiarazioni pesanti dei deputati pentastellati all’ARS che continuano: “Abbiamo pensato parecchio se rispondergli o meno, regalandogli quell’attestato di esistenza in vita che disperatamente va cercando con improbabili scarpinate o con gite tra i ruderi di Sicilia. C’è da riconoscere che Faraone è pure sfortunato, ora che non è più al governo nazionale ha trovato le soluzioni a tutti i problemi del Paese. Chissà che non trovi anche tutte quelle per il Pd, ora che è stato sbattuto fuori dalla cabina di regia del partito in Sicilia”.