Regionalizzazione della scuola, qualcuno mente di Massimo Villone da Il Manifesto
Le pretese delle regioni secessioniste sulla scuola sono incompatibili con l’accordo del 24 aprile firmato da Conte e Bussetti con i maggiori sindacati (Cgil, Cisl, Uil, Snals, Gilda), a seguito del quale fu sospeso lo sciopero già indetto per il 17 maggio. Tuttavia, dopo il vertice di maggioranza sulla regionalizzazione filtrano notizie di un incontro costruttivo, salvo profili di finanziamento. Se ne riparlerà con Tria. Il governo straccia l’accordo? O qualcuno mente?
C’è un problema, e ha un nome: Bussetti. In una intervista al Corriere Venezia e Mestre del 7 luglio apre – per la scuola veneta – su tutti i fronti: ruoli del personale, concorsi, curricula, organizzazione e finalità del sistema scolastico. Dichiara che il modello è il Trentino-Alto Adige. È l’esatto contrario dell’accordo del 24 aprile, ma il ministro si limita a dire che i sindacati «quando leggeranno le bozze di intesa si convinceranno». Bussetti viene platealmente meno alla propria firma, e certo paga un prezzo politico alto. Evidentemente, pensa che ne valga la pena, perché la scuola è uno dei maggiori capitoli del regionalismo differenziato, per almeno due motivi.
Il primo. La scuola è la fucina dell’identità del paese. Il separatismo nordista in marcia vuole abbandonare definitivamente l’obiettivo di ridurre il divario Nord-Sud e di garantire l’eguaglianza dei diritti. Bisogna concentrare nel Nord le poche risorse disponibili e liberarlo dalla zavorra del Sud, perché almeno la parte del paese che ne è capace si agganci all’Europa dei più forti. Il resto si arrangi, ed anzi contribuisca con il proprio sangue per quel che può. È un neo-colonialismo a uso interno, un cambio violento del paradigma costituzionale originario, che impone di costruire un fondamento culturale nuovo, non più unitario e nazionale. È questo il cruciale compito della scuola regionalizzata.
Il secondo motivo. La scuola è una realtà politicamente appetibile. Quale governatore o assessore si farebbe sfuggire la possibilità di gestire decine di migliaia di docenti, strumenti efficaci di produzione del consenso? Averne la disponibilità definirebbe la cifra dei governanti nel sistema politico. Una volta partito il treno per alcuni, gli altri non potrebbero permettersi di essere da meno, e l’effetto domino condurrebbe a una frantumazione generale, del tutto funzionale al separatismo nordista. Sarebbe ora che le regioni – in specie del Sud – che si sono accodate alle tre di testa parlassero in chiaro, visto che la loro sopraggiunta richiesta di autonomia è richiamata in ogni momento dagli sfasciacarrozze dell’Italia unita.
Il modello Trentino genera dubbi e dissensi, e non è esportabile. Secondo i calcoli più attendibili sposterebbe un pacco di miliardi verso Lombardia e Veneto e – per l’invarianza di spesa – sottrarrebbe un pari importo alle risorse per l’istruzione nelle altre. Ma di sicuro non è solo una questione di soldi. Gli stessi docenti trentini segnalano come a fronte di limitati vantaggi economici, peraltro strettamente legati a un maggiore carico di lavoro, i docenti e l’intero sistema scolastico siano completamente sottoposti al potere politico locale. Abbiamo sempre sospettato – e scritto – che la firma di Bussetti sull’accordo e l’auto-qualificazione di Conte come garante dell’unità del paese valevano poco o nulla. Ma non serve recriminare. Conta sapere cosa il sindacato voglia fare ora per rispondere allo schiaffo. Soprattutto considerando che è inutile sbandierare rimedi non esperibili come il referendum abrogativo, inammissibile – per motivi diversi – sulla legge di approvazione delle intese e sui decreti del presidente del consiglio dei ministri attuativi della riforma.
È intollerabile che gli esponenti leghisti nel governo si comportino da attendenti o sguatteri di Zaia & co., e che quelli M5S li lascino fare. La visione di Bussetti è contraria alla Costituzione, minoritaria nel paese, e nel mondo della scuola trova una avversione netta e dichiarata. Il suo compito di ministro della Repubblica sarebbe, qualora ne fosse all’altezza, quello di «efficientare» la scuola mantenendone intatta la natura e l’organizzazione nazionale e unitaria.
Secondo un’antica teoria, la funzione crea l’organo. La querelle scientifica non ci interessa. Ma notiamo che per l’esperienza empirica almeno in qualche caso è l’organo che definisce la funzione.