Fausto Raciti, lei è un deputato nazionale del Pd, l’opposizione c’è ma manca l’idea del partito. L’alternativa che sia fronte di unione contro ogni estremismo. Perché non viene fuori?
L’alternativa c’è e l’abbiamo messa in campo alle europee con la lista aperta, fatta di movimenti civici, cittadini, sinistra diffusa e mondo cattolico che hanno con il loro voto chiesto al Pd posizioni chiare e nette. Bisogna avere il coraggio di raccogliere la speranza che ci ha consegnato chi ha votato per Pietro Bartolo, che ha vinto le elezioni parlando di immigrazione mentre molti pensano che ci si perdano solo voti. Il Partito Democratico deve ripartire da queste esperienze, deve esserci dove c’è bisogno, come abbiamo fatto a Lampedusa con la Sea Watch e come abbiamo fatto in parlamento segnando una svolta con una posizione netta e coraggiosa sugli accordi in Libia. È vero, stenta a venir fuori, perché spesso il Pd è troppo avvitato sui problemi interni e meno concentrato su cosa succede nella società, ma il populismo si batte con movimenti popolari, che dobbiamo costruire tutti insieme
Nicola Zingaretti è il segretario nazionale dei dem, grandi slanci per le primarie pochi fatti a posizione raggiunta, la sua incisività si sente poco. E’ contento di come sta dialogando con le aree del partito?
Oggi Zingaretti ha sulle spalle una grande responsabilità, quella di indicare una prospettiva in un Paese molto cambiato. Per unire il Pd gli servirà riscoprire la vocazione maggioritaria, non restare prigionieri dei contraddittori schemi del congresso, aprire il Pd responsabilizzando davvero una generazione nuova.
Raciti, lei è stato segretario regionale del Pd in Sicilia, è entrato in forte contrapposizione con Faraone e poi lo ha appoggiato per le primarie di dicembre scorso. Non è un controsenso?
Io e Faraone avevamo idee molto diverse su come gestire la fase in cui il Pd era al governo. Oggi siamo all’opposizione. La politica non è fatta di simpatie ed antipatie eterne, odi e amori stabili, ma di accordi e dissensi che hanno un preciso oggetto e un preciso tempo. Per questo l’ho sostenuto e non me ne pento perché non penso che il Pd possa ritornare in mano a quelli che, al contrario di noi, sono sempre e comunque in maggioranza. Prima fedelissimi di Renzi, oggi di Zingaretti. Piegati senza mai pagare dazio alla legge del più forte. Ecco, io ragiono al contrario: per me la politica si può fare solo con autonomia e capacità critica e autocritica.
La Sicilia ha bisogno di risposte forti, di un partito che torni tra la gente e meno sui social, che sia riferimento per coloro che non amano il sovranismo, il razzismo e gli estremismi. Lei sposterebbe il Pd più a centro o resterebbe lì, più a sinistra?
Il Partito Democratico nasce con l’obiettivo di essere sintesi tra storie e culture diverse, sarebbe sbagliato decidere di spostarlo più a sinistra o più al centro, svilirebbe la stessa funzione del Partito democratico. Io credo che l’impegno di tutti debba essere quello di riscrivere il vocabolario di una forza politica riformista che riannodi i fili spezzati con pezzi di società che non ci ha seguito più. Di fronte a casi come quello della Diciotti, della Sea Watch e adesso di Alex, io credo che il Pd debba stare la, in quei porti e su quelle navi: se è una cosa più di sinistra o più di centro perché parla anche ai cattolici non so e non mi interessa. Penso che il nostro obiettivo debba essere ritornare ad essere una forza dal 40% su base nazionale.
Troppo occupati ad attaccare Matteo Salvini e poco concentrati alla creazione di un percorso progettuale da consegnare all’elettorato. Raciti, se Matteo Renzi dovesse riprendersi una leadership, che non ha mai perso per inclinazione naturale, il partito andrebbe a scissione. Lei da che parte starebbe?
Siamo già passati dai retroscena in cui Renzi se ne andava a quelli in cui, se tornasse, se ne andrebbero gli altri? Non si può decidere se stare in un Partito democratico a seconda di chi è il segretario. Il Partito Democratico ha bisogno di una comunità unità e coesa, che sia in grado di fare sintesi tra più storie e che sia in grado di interpretare le esigenze di un Paese, che a causa di questo governo naviga a vista. Salvini è uno dei principali artefici di una politica che colpisce i diritti e spetta al Pd costruire un argine.
In provincia di Trapani non la si vede mai, rare le occasioni di confronto. Cambierà la sua linea politica ovvero continuerà ad incontrare la parte amica del partito?
In provincia di Trapani sono stato presente da segretario regionale del Pd, così come nel resto della Sicilia. Non posso giudicare io se ho fatto bene o male, ma basta chiedere in giro. Da deputato semplice il mio ruolo è diverso. Sarò presente ovunque per costruire un percorso che guarda agli iscritti del Partito democratico, ai movimenti civici, alle associazioni e a quanti hanno iniziato da tempo un lavoro per creare ponti con l’esterno. Ripartiamo dalle Europee vinte in questa provincia e in Sicilia proprio grazie alla capacità di aprirsi all’esterno e proviamo a dare continuità a queste esperienze. Il Pd, anche in provincia di Trapani, che sottolineo ha avuto un buon gruppo dirigente, ha bisogno di aprirsi all’esterno, giocando meno di tattica e cercando di valorizzare tutte quelle esperienze presenti sul territorio, che spesso stentano a dialogare con un partito, più concentrato sul futuro di qualche deputato, che sulla costruzione di una vera comunità politica. Ed è impensabile, peraltro, che quanti hanno voluto intraprendere percorsi di apertura, si sono ritrovati a doverlo fare con le associazioni come Punto Dritto e non all’interno del Pd. Ecco, il mio impegno sarà rivolto a dare cittadinanza a queste istanze, a Trapani e in Sicilia, contrapponendomi, se necessario, ai tentativi di restaurazione interpretati da chi pensa “di stare sempre con la ragione e mai col torto”.