Donald Trump crede che la Luna sia un satellite di Marte. Sì, avete letto bene, non si tratta di una falsa notizia: il presidente degli Stati Uniti, in un tweet di pochi giorni fa, ha spiegato – e cioè ha decretato, com'è nel suo stile – che la prossima meta degli astronauti americani non dovrà essere di nuovo la Luna, ma Marte, in primo luogo perché la Luna è stata già conquistata e rivisitata molti anni fa, e poi perché comunque “la Luna fa parte di Marte”. (Testuale: “...including Mars, of which the Moon is a part”).
Inutile dire che l'incredibile tweet ha fatto immediatamente il giro del mondo, provocando l'esplosione di una formidabile risata planetaria. Pare perfino che il rimbombo delle sghignazzate di alcuni miliardi di esseri umani (ma anche di cani, di polli e di altri animali) abbia provocato una serie di frane, valanghe, microterremoti e disturbi del campo magnetico in varie parti del globo.
Una catastrofe “cosmicomica”, per riprendere la felice invenzione di Italo Calvino.
Eppure, perdonatemi, ma io non ce l'ho fatta a ridere. Non mi sono unito al coro. Anzi, mi è venuto un attacco di panico. Perché di colpo, come quando si riceve una mazzata tra capo e collo, mi sono reso conto fino in fondo di una realtà che già da tempo, come tanti, osservavo con apprensione e sgomento, ossia dell'abisso in cui l'umanità sta precipitando a causa del trionfo dell'ignoranza globale. Amici miei, qui c'è poco da scherzare: da una sola riga di tweet noi abbiamo appreso che l'uomo più potente del mondo è al tempo stesso anche l'uomo più ignorante del mondo. Ed è proprio questo il problema, riflettiamoci bene tutti quanti.
Non bastavano infatti la devastazione culturale e l'ecatombe delle intelligenze provocate dal declino dell'informazione, dal dilagare delle bufale e delle baggianate diffuse sulle reti social. Non bastava – qui in Italia in particolare: ricordate la Gelmini ministro dell'Istruzione, tanto per fare un esempio? – l'affermarsi di una classe politica sempre più infettata dal virus dell'incompetenza. Non bastava la colossale opera di rimbambimento collettivo e di abbassamento del medio livello culturale realizzata, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, dalle reti televisive succubi delle logiche commerciali. No, a tutto questo doveva negli ultimi anni aggiungersi un nuovo e terrificante fenomeno, il colpo di grazia: l'avvento del populismo politico e ideologico.
Ed è qui che il cerchio si chiude, e tutto si spiega drammaticamente: Trump, il re e il faro dei populisti mondiali, è anche il re degli ignoranti mondiali.
Logico, no? Non solo, ma i campioni dell'ideologia che ruota intorno a lui e intorno agli altri caporioni di questo sfacelo globale (i vari Salvini, Le Pen, Farage, Putin e compagnia danzante) presentano tutti le stesse caratteristiche desolanti: un pensiero confuso, abborracciato, tronfio e fanatico, antiscientifico, biecamente reazionario, sovente sconfinante nell'assurdo e nel ridicolo.
Prendiamo ad esempio quella specie di filosofo russo che proprio in questi giorni sta trascinando la sua barba da profeta dell'apocalisse in giro per l'Italia, a seminare conferenze, accompagnato dal rullar dei tamburi dell'estrema destra sovranista, xenofoba e nazifascisteggiante. I suoi discorsi sono spettacoli pirotecnici di frasi folgoranti, allusioni esoteriche e citazioni ardite: di tutto e di più, da Carl Schmitt a Zygmunt Bauman, tanto per stordire i cervelli degli uditori e poi annegarli in un orrido minestrone delle fattucchiere. Il suo nome è Aleksandr Dugin, e gode fama di essere nientemeno che il guru di Vladimir Putin (ecco l'erede di Ras-putin!).
Ma il vero chiodo fisso del suo strologare ha un nome ben preciso: quello di René Guénon. Ed è qui che io, da antico cultore delle affascinanti fantasie guénoniane, vorrei aggiungere in poche righe una modesta postilla. Pare che Dugin (che alcuni mesi fa udii parlare proprio dell'esoterista francese in una specie di intervista di stile nordcoreano del Tg2 Rai) si sia fatto un'idea piuttosto aberrante della cosiddetta teoria del “ritorno al centro” di Guénon. Questo ritorno, secondo Dugin, coinciderebbe con una visione estrema dell'autoriconoscimento identitario. Ergo, con un'esaltazione mistica delle radici, del famigerato blut und boden (“sangue e suolo”) della mitologia nazista. Se ciò fosse vero, si dovrebbe vedere proprio in Guénon il faro più luminoso dell'attuale ideologia sovranista.
Ma le cose non stanno così. Al contrario. Perché la conversione di Guénon all'Islàm fu, a mio parere, la dimostrazione più chiara del fatto che il geniale tradizionalista francese concepì il “ritorno al centro” non come un miope ripiegamento verso le proprie radici particolari (di sangue, di fede, di nazione eccetera), ma come una risalita, come un trascendimento spirituale verso quella “radice delle radici” che è l'Uno metafisico, l'assoluto Principio in cui si fondono e si annullano tutte le radici particolari di questo mondo. Una bella differenza, perbacco! E dunque, da parte di Dugin, una grossolana e perniciosa mistificazione del pensiero di Guénon, che da profeta dell'universalismo si vorrebbe ridurre a precursore dei meschini neonazionalismi odierni.
Selinos