di Marco Marino
Tre auto. Una strada. Un unico destino lega la vita del sostituto procuratore Carlo Palermo a quella di Barbara Rizzo e dei suoi due figli, Giuseppe e Salvatore Asta. La mattina del 2 aprile del 1985 la Volkswagen Scirocco della Rizzo supera la Fiat 132 blindata di Carlo Palermo, lungo la strada provinciale che attraversa Pizzolungo. Segue un’esplosione: è un’autobomba preparata per uccidere il magistrato.
Da quel 2 aprile di trentaquattro anni fa, Carlo Palermo, scampato miracolosamente a quell’attentato che costò la vita a tre poveri innocenti, non ha mai smesso di indagare le ragioni oscure che si celano dietro questo e altri misteri italiani connessi ai Servizi Segreti e alla Massoneria. Ne ha scritto in un libro appena pubblicato da Sperling & Kupfer, La bestia. Dai misteri d'Italia ai poteri massonici che dirigono il nuovo ordine mondiale.
Oggi, alle 17.30 al Convento del Carmine, Carlo Palermo parlerà del libro con Giacomo Di Girolamo nell'ambito della rassegna 5 Grandi incontri con gli studenti, promosso dall'associazione 38° Parallelo – Tra libri e cantine, dalla testata giornalistica TP24 e da Treccani Cultura con il patrocinio del Consorzio Trapanese per la Legalità e lo Sviluppo.
Abbiamo conversato con l’autore di alcuni dei temi che animeranno il pomeriggio di oggi.
Trova che il nostro Paese abbia un serio problema con il concetto di verità? Si distingue sempre la verità giudiziaria dalla verità giornalistica, dalla verità dei fatti...
I fini perseguiti, così come gli strumenti utilizzabili, sono palesemente diversi: tutti però convergono verso la verità che non può che essere unica, e rappresenta l’obiettivo finale cui tutti dobbiamo ispirarci ognuno per la sua parte.
Sul Giornale di Sicilia, Klaus Davi ha scritto che quando si cerca di spiegare i fili che annodano la mafia alla massoneria, la magistratura rimane sempre silente. Secondo lei è davvero impossibile raccontare i legami oscuri che legano queste due realtà, senza inficiare le indagini portate avanti dalle procure?
La magistratura incontra particolari difficoltà in ragione della maggiore omertà presente nella Massoneria e nei Servizi anche in ragione di perduranti segreti di Stato a mio parere ingiustificabili in presenza dei fatti avvenuti nel nostro Paese. In ogni caso, però, le coperture comunque presenti, a mio parere, andrebbero autonomamente individuate per consentire una lettura più completa dei fatti anche indipendentemente dalle responsabilità penali (ovvero soggettive).
2 aprile 1985. Sono passati 34 anni dalla strage di Pizzolungo, quali sono gli interrogativi rimasti ancora aperti?
Nulla risulta chiarito: dalla motivazione e ideazione del fatto alla sua concreta attuazione. Le sentenze di condanna definitive individuano partecipazioni e responsabilità di taluni componenti della Cupola ma non ne chiariscono la reale attività. Il proscioglimento degli esecutori originariamente accusati e pure condannati è definitiva e non risulta in corso una indagine diretta ad accertare un “aggiustamento” di quel processo anche se sono presenti numerose indicazioni processuali in tal senso. Nella mia impostazione, soprattutto considerando il tempo intercorso dai fatti e nuove risultanze, non appare approfondito l’aspetto relativo alla unitarietà dell’azione criminale svolta negli anni Ottanta e primi anni Novanta nei confronti dei magistrati: azione “comune” diretta ad ostacolare l’accertamento progressivo della verità risultante dalla complessiva progressione delle indagini (svolte dai vari magistrati) nei confronti delle componenti esterne a Cosa nostra: l’attività svolta da Servizi Segreti (non solo italiani) e dalla Massoneria. Queste componenti risultano solo sfiorate ma non affrontate con indagini mirate ad una lettura globale e non parziale e tantomeno limitata (come lo è necessariamente stata) date le conoscenze dell’autorità giudiziaria all’epoca dei fatti ovvero in periodo in cui ignote erano le presenze degli apparati Stay behind, Gladio, in particolare del Centro Scorpione. Ancor meno erano presenti cognizioni sulla Massoneria, presente nel trapanese, solo marginalmente esaminata nell’omicidio di Mauro Rostagno. Esiste la necessità di riesaminare quel periodo con le cognizioni attuali e con la consapevolezza dell’esistenza di non casuali depistaggi che hanno caratterizzato anche il percorso giudiziario oltre che quello meramente storico.