Il colonnello della Dia gli passava le intercettazioni e lui le girava all’amico mafioso. E’ per questo che Antonio Vaccarino è stato arrestato, insieme ad Alfio Zappalà, in servizio alla Dia di Caltanissetta e a Giuseppe Barcellona, appuntato scelto dei carabinieri di Castelvetrano.
Ma la figura di Vaccarino è tra le più complesse della storia della provincia di Trapani, da decenni roccaforte dei Messina Denaro.
Definirlo “ex sindaco di Castelvetrano” non basta. La sua esperienza di primo cittadino è infatti circoscritta ad un periodo di diciassette mesi, nei primi anni ’80. Poca cosa rispetto alle varie vicende che lo hanno visto protagonista negli ultimi quarant’anni. Vicende di politica, massoneria, mafia e servizi segreti, che hanno delineato i vari volti di un personaggio certamente tra i più enigmatici.
Nasce a Corleone nel 1945 e nei primi anni ’70 arriva a Castelvetrano.
E’ un giovane dai modi signorili, con una laurea in pedagogia e, dopo il matrimonio, gestisce l’unico cinema della città.
Da democristiano, inizia la sua attività politica, presentandosi alle elezioni amministrative del 1975 e venendo subito eletto in consiglio comunale, diventando da lì a poco una delle figure più rappresentative della Dc di Castelvetrano. Una Dc dorotea, anticomunista e sensibile alle gerarchie ecclesiastiche.
Vaccarino stringe amicizia con Vito Lipari, uno dei big del partito che alcuni criticavano per la sua tendenza a concedere poco spazio ai collaboratori, aumentando la sua influenza nella politica locale.
Il 14 agosto del 1980 però Lipari viene ucciso in un agguato e al suo posto arriva un altro democristiano: Francesco Taormina. Che però resta in carica un anno e mezzo.
Il giovane “professore” venuto da Corleone, viene eletto sindaco nel 1982, abbandona la corrente dorotea ed abbraccia la Dc del deputato regionale Salvatore Grillo.
Rimane, come si diceva, per diciassette mesi. Un periodo dove tutto va abbastanza liscio, se si esclude un piccolo scandalo: il comune aveva invitato a pranzo i medici di un convegno di dermatologia.
Erano quattrocento, arrivati da tutta Italia.
Niente di male, se non fossero stati accompagnati da mogli, figli e amici, diventando più di mille, con i costi per il comune lievitati vertiginosamente.
Sindaco e giunta furono denunciati, ma ne uscirono tutti indenni.
Dal 1983, Vaccarino diventa segretario comunale della Dc.
Ma nessuno l’aveva mai eletto a quella carica. Era una sorta di tacito accordo: tutti i democristiani cominciarono a considerarlo il capo, senza che la segreteria provinciale avesse messo mai becco.
Il professore, che intanto veniva spesso nominato assessore nelle varie giunte che si susseguivano, sul finire degli anni Ottanta diventa presidente del comitato di gestione della Usl 5 (oggi c’è l’Asp 9).
Anche lì, tutto liscio, se si esclude un piccolo fastidio giudiziario in cui viene indagato perché sospettato di avere gonfiato un appalto per il servizio di pulizia dell’ospedale cittadino.
Anche questa, una bolla di sapone.
Bazzecole, di fronte all’importanza dei cambiamenti politici che c’erano nell’aria. Ed infatti, quando Grillo si allea con Calogero Mannino, Vaccarino diventa “mangrilliano”, riuscendo a dare stabilità all’amministrazione comunale di Castelvetrano.
Nell’estate del 1991, dal momento che tra Psi e Pds era nata un’alleanza per una giunta di minoranza presieduta da Enzo Leone (socialista e assessore regionale), raccoglie sette consiglieri e la appoggia.
Ma alla Dc la mossa non piace, i probiviri del partito minacciano di espellerlo e Vaccarino apre una crisi di governo locale, non riuscendo a risolvere le divisioni interne che paralizzavano il consiglio comunale.
Nel maggio del 1992 viene arrestato
insieme ad alcuni dei più importanti uomini d’onore dell’intera provincia di Trapani per il “delitto di partecipazione ad associazione mafiosa e per quello di partecipazione a più associazioni armate finalizzate al traffico internazionale di sostanze stupefacenti fra l’estero e il territorio nazionale”.
In quel momento il sindaco è Gianni Pompeo, che propone l’autoscioglimento del consiglio comunale in una seduta finita a notte fonda. Era la seconda volta in due anni che si preferiva l’arrivo di un commissario. Tutti d’accordo, tranne uno: il consigliere del Psdi Francesco Ferreri.
Fine prima parte
Egidio Morici