In questo pazzo mondo accadono nello stesso giorno eventi di segno estremo e diametralmente opposto. A Chicago – quasi 3 milioni di abitanti – viene eletta sindaca una donna, e per giunta afroamericana, e ancora per giunta lesbica. Contemporaneamente, nel sultanato del Brunei viene introdotta la pena di morte tramite lapidazione per gli omosessuali, e in Afghanistan i talebani sottopongono a una dura battitura una donna “colpevole” di avere ascoltato un brano musicale. Nel primo caso, ovviamente, non possiamo che rallegrarci e brindare per la bella notizia: i cittadini di Chicago hanno dimostrato di credere nel futuro, nella realizzazione di una società finalmente e pienamente libera da ogni assurdo e odioso pregiudizio razzista e sessista. Nel secondo caso il nostro raccapriccio, sacrosanto, non deve però indurci nel classico e automatico errore: quello di attribuire simili pratiche barbariche all'Islàm. Perché anche questo è in effetti un pericoloso pregiudizio.
Come in tutti gli ambiti civili e culturali, nessuno escluso, così anche nel mondo islamico esistono pratiche e tendenze di diversissima natura. Che in alcuni Paesi islamici resistano sacche di virulento oscurantismo, è un fatto che non si può negare. La storia recente ci ha offerto troppi esempi di questo estremismo fanatico, sovente degenerato in atti di crudeltà, di repressione violenta e disumana, di devastante terrorismo. Eppure, dare la colpa di questa barbarie all'Islàm in quanto tale sarebbe un grave errore. E per due fondamentali motivi.
Primo motivo: chi conosce davvero il Corano, chi lo ha studiato con attenzione – e non è certo questo il caso dei gihadisti sanguinari, i quali in maggioranza sono dei perfetti ignoranti in materia – sa benissimo che il libro sacro dei musulmani, nonostante i non rari inviti al “combattimento sul sentiero di Allah”, in realtà non è affatto un manuale di guerra e di violenza. Al contrario, lo spirito profondo del Corano, quello che pervade il Libro di Allah dalla prima all'ultima parola, è uno spirito di pace, di tolleranza e di moderazione. In nessun passo del Corano vengono realmente invocate o raccomandate le pene più crudeli. In nessun punto si dice che la donna debba vivere segregata e seppellita sotto una cappa di stoffa nera. In nessun punto si dice che il gihàd debba essere una guerra spietata e aggressiva. Basti citare qui il primo versetto coranico in cui della “guerra santa” si fa menzione (sura 2, v. 190): ebbene, il versetto afferma chiaramente che il “combattimento” deve avere uno scopo esclusivamente difensivo, e che in ogni caso non deve mai degenerare in eccessi, perché, dice il Corano: “Allah non ama gli eccessivi”. E questa è la sconfessione più chiara e clamorosa di ogni forma di estremismo, fanatismo e terrorismo.
Secondo motivo: l'islamofobia non fa bene a nessuno. Anzi, fa malissimo a tutti. È un pregiudizio letale, perché il suo unico esito è quello di aggravare i conflitti che esistono, e di creare artificialmente quelli che non esistono. È un sentimento insensato, se non addirittura – in certi casi estremi – dissennato e criminale. Lo si è visto poche settimane fa in Nuova Zelanda, dove un pazzo islamofobo, nel suo delirio da “suprematista bianco”, ha falciato a freddo con un'arma da guerra le vite di cinquanta innocenti, musulmani pacifici e civili che stavano pregando nelle loro moschee.
L'islamofobia non è altro che benzina sul fuoco. Ha assolutamente ragione Papa Francesco quando invita tutti i cristiani e tutte le persone di buona volontà a considerare i musulmani come nostri fratelli. La via della fraternità è l'unica che può farci riscoprire le nostre radici comuni. L'unica che può darci una vera speranza. L'unica che può aprire le porte del nostro mondo a una nuova era di pace e di cooperazione per il bene universale.
Selinos