Porta in provincia di Trapani e ad un summit di mafia cui ha preso parte anche il boss Matteo Messina Denaro la nuova indagine, a quasi 28 anni, sull’omicidio del giudice Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991 a Villa San Giovanni mentre faceva rientro dal suo paese natale Campo Calabro.
Sono 18, le persone indagate dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria e sono boss e affiliati alle cosche siciliane e calabresi e tra questi c’è anche Matteo Messina Denaro, latitante dal 1993. Titolari dell’inchiesta sono gli aggiunti Gaetano Calogero Paci e Giuseppe Lombardo.
Il summit che decise la morte - Il summit fu fatto in primavera nelle campagne di Trapani. Era il 1991 e c'era anche il boss castelvetranese quando Cosa nostra e 'ndrangheta strinsero un patto che prevedeva, tra le altre cose, l'eliminazione del giudice di Cassazione Antonio Scopelliti, che venne infatti ucciso in Calabria nell'agosto successivo.
La biografia - Entrato in magistratura a soli 24 anni, divenne il numero uno dei sostituti procuratori generali italiani presso la Corte di Cassazione. Si è occupato di vari maxi processi, di mafia e di terrorismo. Ha rappresentato, infatti, la pubblica accusa nel caso Moro, durante il primo processo, nel sequestro di Achille Lauro, in quello per la Strage di Piazza Fontana ed per la Strage del Rapido 904. Per quest'ultimo processo, Scopelliti chiese la conferma degli ergastoli inferti al boss di Cosa Nostra Pippo Calò e a Guido Cercola, nonché l'annullamento delle assoluzioni di secondo grado per altri mafiosi. Il collegio giudicante della prima sezione penale della Cassazione, presieduto da Corrado Carnevale, rigettò la richiesta della pubblica accusa, assolvendo Calò e rinviando tutto a nuovo giudizio. Scopelliti fu ucciso il 9 agosto 1991, mentre era in vacanza in Calabria, sua terra d'origine, in località Piale (frazione di Villa San Giovanni, sulla strada provinciale tra Villa San Giovanni e Campo Calabro).
Il pentito e la riapertura del caso - Il caso Scopelliti si è riaperto dopo le dichiarazioni del pentito catanese Maurizio Avola, che collabora coi magistrati dal 1994, a proposito dei rapporti fra Messina Denaro e la ‘ndrangheta. Avola ha confessato 80 omicidi (compreso quello del giornalista Giuseppe Fava) ma non si era mai addentrato nel caso del delitto Scopelliti, né nei rapporti tra clan calabresi e siciliani. Il dubbio degli inquirenti è che non lo abbia mai fatto perché in quel rapporto potrebbero esserci anche relazioni con esponenti deviati delle istituzioni. Anche un altro collaboratore, Francesco Onorato, nel processo “‘ndrangheta stragista” ha sostenuto che Scopelliti fu ucciso dalle `ndrine per fare un favore a Totò Riina che temeva l’esito del giudizio della Cassazione sul maxiprocesso a cosa nostra.
Il 27 luglio del 2018, Maurizio Avola portò gli inquirenti in aperta campagna, nel catanese, indicando con precisione il luogo dove cercare. Il fucile era avvolto in un tessuto colore azzurro e conservato in una busta di colore grigio che riportava la scritta “Boutique Loris”, via Imbriani 137, Catania. L’arma sarebbe servita per il primo omicidio eccellente in Calabria che fu però progettato ed eseguito dai catanesi di Cosa nostra, che non informarono della fase esecutiva la ‘Ndrangheta.
Gli esami balistici - Il prossimo 4 aprile negli uffici della scientifica di Roma verranno fatte le analisi balistiche sui proiettili e il fucile utilizzati per l’omicidio Scopelliti. Assieme alle armi verrà analizzata anche la felpa in cui erano avvolti. Le analisi in pratica porteranno alla comparazione con il Dna di tutti gli indagati, fra di essi c’è anche Giuseppe De Stefano, boss di Reggio Calabria, già in carcere per mafia e omicidio. E’ figlio del boss assassinato Paolo De Stefano, indicato come “capo crimine'” di Reggio Calabria, e boss di ultima generazione della ‘ndrangheta.
Gli indagati - Tutti di primo. Sono sette sono siciliani: Messina Denaro e i catanesi Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola. E calabresi: Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti e Giuseppe De Stefano. I magistrati sono alla ricerca di riscontri: impronte, tracce genetiche e balistiche, prove da mettere a confronto con il frammento della cartuccia ritrovato sul luogo del delitto. Tra gli indizi ci sono anche un borsone blu e due buste.
La figlia di Scopelliti - «Papà è patrimonio di questo Paese. Un Paese per cui ha dato la vita». Così Rosanna Scopelliti, figlia del magistrato Antonino Scopelliti. Con parole cariche di amore e stima per suo padre, commenta sui social gli ultimi sviluppi dell’inchiesta dalla quale emerge un patto fra Cosa nostra e ‘ndrangheta per uccidere il giudice. Ecco il suo post: