Si parla oggi troppo di stranieri, immigrati, clandestini, irregolari e altri attributi che non cito per rispetto della persona umana, ma facciamo un’analisi, per sommi capi, di chi sono costoro. Non sono certamente i “ricchi”, ossia chi sta bene economicamente nel suo paese, chi ha una cultura… costoro non hanno bisogno di emigrare e, qualora dovessero spostarsi altrove, trovano le porte aperte e i governi che li accolgono, vedi gli artisti, gli scienziati, gli sportivi, tutti quelli che portano con sé un patrimonio culturale, politico, economico…di un certo livello.
I “poveri”, questi sì che trovano sempre e dovunque difficoltà e muri di gomma che li spingono a rimanere nella condizione iniziale. Quale? Quella di mancanza di tutto, di beni, di cultura, di prospettive, di speranza. Il povero è chi non ha agganci a livello esistenziale, come se i ricchi del mondo (e con questi i paesi sviluppati) sbarrassero loro l’opportunità di migliorare la situazione. Se fossero ricchi non avrebbero motivo di spostarsi per trovare altrove ciò che possiedono già.
È vero che con i poveri espatriano anche i delinquenti. Anche questi sono “poveri” o, come si suol dire, “poveracci”, perché se avessero una ricchezza interiore, dei principi morali e sociali, se avessero avuto una corretta educazione, non si sarebbero trovati in una condizione di riflusso nella società.
Ma chi lo dice che questa è la condizione solo degli altri e non anche la nostra? Pensiamo che noi siamo un misto di valori positivi e negativi e se siamo educati a incanalare le qualità creative e propulsive che ci sono in noi, diventiamo grandi uomini.
Eppure ogni essere umano è ricco del sè. Ogni uomo, per il fatto di trovarsi al livello più alto della creazione, è dotato di virtù spirituali, intellettive, affettive, morali, è libero di operare, di spaziare con la propria mente e di creare dal nulla tante cose, questo lo arricchisce e lo rende unico nell’universo. Ogni uomo può dal letame far nascere un fiore, dalla debolezza farne una creatura granitica, dalla povertà uscire e, partendo da essa, renderla un grande valore, se finalizzata a una prospettiva che quotidianamente s’ingrandisce sempre di più.
Chi ci dice, poi, che il ricco è ricco e non è povero? Ritengo che, per una legge del compenso, chi è ricco economicamente, è privo di qualcosa, solo l’umiltà di capire che è bisognoso di altro lo rende ricco e mai un “arrivato”: lo scienziato, nella maggior parte dei casi, non dice mai di avere raggiunto il traguardo del sapere, ma proprio, partendo da quel traguardo raggiunto, lo usa per esplorare e conoscere altro, perché si rende conto modestamente che quello che sa diventa niente di fronte a quello che rimane di sapere.
Il povero, dal canto suo, per lo stesso principio che parte da una privazione, tende naturalmente a completarsi con altri valori che possono essere dell’accoglienza, della disponibilità, del servizio… tutte qualità che lo rendono grande agli occhi dei suoi simili.
La morale, allora, è una: impariamo, partendo da ciò che siamo, ad accettare quello che abbiamo e, soprattutto, senza gloriarci di ciò che c’è stato donato, metterlo a servizio degli altri perché assieme possiamo raggiungere un traguardo a cui ogni uomo è chiamato che è quello del nostro fine ultimo e del livellamento esistenziale. L’apertura mentale, sociale, culturale, economica di uno sia la forza di tutti!
Salvatore Agueci