Signor Primo Ministro, Giuseppe Conte,
mi sento fortemente amareggiata ed indignata per quanto sta succedendo nel nostro paese in questi giorni, a motivo delle disumane decisioni messe in atto dal governo di cui lei è leader.
Mi riferisco ai porti chiusi, al divieto alle navi Ong di salvare le vite dei naufraghi e di accoglierli nel nostro paese.
Mi riferisco anche al clima di tensione e di odio razziale che serpeggia in tutta la penisola, alimentato dalle malevole parole del ministro degli interni, Matteo Salvini, che dimostra, nella sua “pratica oratoria”, soltanto tutta la sua presunzione e la sua arroganza. Di conseguenza, tali posizioni governative hanno condotto l’Italia a diventare un paese non accogliente, non sensibile a salvare vite umane. Una atrocità! Un dolore immenso! Una crudeltà che ci fa inorridire, oggi, e di cui sicuramente i nostri nipoti si vergogneranno, domani!
Con i vostri crudeli decreti avete permesso che il nostro meraviglioso e generoso mare Mediterraneo diventasse la tomba di migliaia di persone e, purtroppo, anche dei loro sogni e delle loro speranze!
Le sto parlando con il cuore, signor Primo Ministro, con il cuore di “italiana”, fortemente legata al proprio paese, che non si sente rappresentata in questo momento né da lei, né dal suo governo.
Ma le parlo anche con il cuore di “madre”. Madre di due figlie emigrate: una al nord Italia, una in Australia, entrambe per motivi lavorativi. La mia pur bella città siciliana, Marsala, non offre molti sbocchi di lavoro, per cui le giovani generazioni sono costrette ad andar via, ad emigrare in paesi lontani, anche fino alle estremità della terra. Del resto, lei mi insegna che «dove c’è lavoro c’è casa». Ma quanto dura e dolorosa è questa verità, sia per chi resta che per chi viene sradicato dalla propria terra!
Le parlo con il cuore di “nonna” che ha cinque nipoti lontani, con i quali vorrebbe condividere la quotidianità, la crescita, i sogni, le ambizioni, giocando con loro, gioendo con loro, soffrendo con loro, abbracciandoli stretti, ma non può. Penserà che sono triste per questo? No, non lo sono, perché sono convinta che tutto il pianeta Terra sia patria di tutti noi, di tutti i popoli e che la vita, in ogni caso, sia degna di essere vissuta, perché è bella! Perché la casa di ciascuno è il luogo dove ognuno trova la propria opportunità di lavoro per vivere onestamente, nella propria dignità di persona libera e responsabile.
Le parlo con il cuore di “nipote”, signor Primo Ministro; di nipote di una donna, la nonna materna, che nel 1918, a soli 18 anni, da sola e con un semplice fagotto di stracci, emigrò negli Stati Uniti d’America, consapevole della sua intelligenza, della sua caparbietà e del suo coraggio. Signor Primo Ministro, pensi, mia nonna, una ragazzina sola, allo sbando, da Marsala al porto di Genova prima, da Genova a New York dopo e poi a Chicago. Una traversata infernale, su di un piroscafo fragile, attraverso l’Atlantico, con poco cibo, con poche lire, senza conoscere la lingua. Un viaggio di speranza che ha cambiato la sua vita.
Così, mi sento “nipote” di tutte quelle ragazze emigrate di allora e mi sento “madre” di tutte quelle donne emigrate di oggi, bianche o di colore che siano.
Dov’è la differenza se abbiamo tutte lo stesso sentimento di amore per la vita, per una vita dignitosa, per una vita di riscatto dalla povertà, dalla violenza, dalla guerra? Dov’è la differenza, signor Primo Ministro, in questo preciso momento, fra il mio cuore e quello di una madre dell’Africa? Io non ne vedo alcuna. In ansia, nel dolore, nella paura, nel timore per la vita delle mie figlie e dei miei figli, come ogni mamma dell’Africa, ma con un sogno nel cuore per loro: la libertà e la speranza di una vita migliore!
Le parlo con il cuore di “donna”, signor Primo Ministro. Il cuore di una donna è più sensibile di quello di un uomo. Non è un privilegio, ma una prerogativa. Noi siamo gli esseri che diamo la vita. Dentro il nostro corpo c’è uno “scrigno”, l’utero, che custodisce e fa crescere il seme dell’uomo, che poi si schiude per portare alla luce una vita! È una particolarità che ha il genere femminile e che la rende più sensibile, più pietosa. Noi non ci sentiamo più importanti per questo, ma semplicemente più umane. In questo momento sono rammaricata perché non ho sentito una sola voce femminile, facente parte del governo, che abbia mostrato la propria indignazione e abbia fatto sentire la propria voce di “donna”. Tutte zitte queste donne ministro? Se abbiamo un ruolo istituzionale non significa che dobbiamo perdere la nostra sensibilità e la nostra umanità!
Le parlo con il cuore di “educatrice”, signor Primo Ministro. Sono un’insegnante in pensione. Durante la mia professione mi sono adoperata per indirizzare i miei alunni al rispetto reciproco, al rispetto della comunità, delle leggi e dello Stato. La cultura è figlia dell’educazione! Avrò fallito in qualche cosa? Forse, ma posso affermare di aver cercato di fare del mio meglio per favorire la formazione di giovani responsabili e liberi nelle proprie scelte.
Le parlo con il cuore di “cristiana”, signor Primo Ministro. Il mio maestro Gesù mi insegna ad amare, amare il mio fratello ed il mio nemico. Come potrei considerare i miei fratelli del nord, dell’Africa, di un altro paese, miei nemici? Così stranieri ed estranei, da chiudere loro le porte della salvezza in faccia, da chiudere i porti, da alzare muri per impedire loro di avvicinarsi a me? Che cristiana sarei se parlassi d’amore e praticassi l’odio? Così mi chiedo e le chiedo: “Dov’è l’amore di Gesù in un paese che si professa fondamentalmente cristiano? Dov’è l’amore di Gesù, la sua pietà, la sua misericordia se non ci indigniamo davanti a queste stragi di naufraghi e se non ci mettiamo in azione per frenare questo scempio?”
Le parlo con il cuore di “ministro”, signor Primo Ministro. Sono “ministro” di Cristo, pastora di una chiesa evangelica, di una piccola comunità di credenti che hanno abbracciato la fede di Cristo con convinzione e partecipazione. Promuovo l’amore di Dio, la fratellanza e la solidarietà fra i popoli, la pace nel mondo e soprattutto l’accoglienza. Utopia? Non direi, ma sento il pericolo che, in questo particolare momento storico, l’Italia stia perdendo un po’ la bussola e non riesca a trovare la via della giustizia. Di quella giustizia vera, equa, che abbia bilance giuste; non fatta di giudizi superficiali e di facili polemiche opportunistiche, che favoriscono le campagne elettorali. Non fatta di parole mirate ad alimentare la paura dell’altro, ma piuttosto pregna di solidarietà e di aiuto reciproco.
Secondo lei, signor Primo Ministro, quale male hanno procurato gli italiani emigrati al Nord, negli Stati Uniti d’America, in Australia? È stato forse un male quello di aver contribuito, con il loro lavoro, la loro intelligenza e la loro creatività, a fare grandi le nazioni dove sono vissuti? Che danno potranno fare i nostri fratelli venuti dall’Africa? Le loro capacità lavorative potrebbero arricchire il nostro paese o quello in cui vorranno andare a vivere fra quelli europei. Sempre che non si pensi a sfruttarli!
Faccia qualcosa, signor Primo Ministro. Si commuova. Si adoperi per l’accoglienza. Faccia aprire i porti. Permetta alle navi ONG di soccorrere questi naufraghi e salvare loro la vita.
Nello stesso tempo cerchi di placare, in qualche modo, questo clima di odio che si sta propagando a macchia d’olio nel nostro paese.
L’odio fa male, logora e può ripercuotersi contro chi lo alimenta. Non permetta, lei che può, che si continui su questa strada senza sbocco d’uscita e che sta procurando il declino dell’Italia e della democrazia.
Le sarò grata se opererà in favore della vita!
La ringrazio per aver ascoltato il mio grido di pietà
Marsala, 24 gennaio 2019
PINA GIACALONE TERESI