La chiamavano la banda di Marsala. Facevano base qui, nella città di Capo Boeo, punta occidentale della Sicilia, i vertici dell'organizzazione criminale che gestiva il traffico di sigarette e clandestini dalla Tunisia all'Italia.
Gommoni veloci in grado di coprire velocemente la tratta dalla Tunisia alle coste di Marsala, Mazara e dell'Agrigentino. Massimo 15 persone a bordo, con ogni passeggero che pagava non meno di 2500 euro per arrivare in Italia. A bordo, e a far parte dell'organizzazione, ci sarebbero stati anche personaggi vicini al terrorismo islamico. E' quello che è stato scoperto nell'ultima operazione della DDA di Palermo.
Tutto, però, è partito da un pentito. Una delle persone che ha fatto parte di questo gruppo e che ha deciso di parlare con le autorità italiane per evitare che ci si ritrovasse con “un esercito di kamikaze in Italia”. L'uomo di nazionalità tunisina ha ritenuto “fortemente probabile che attraverso il sistema di collegamenti via mare dell’organizzazione che ho conosciuto in Sicilia, alcuni terroristi possano giungere in Italia con il loro aiuto”;
E il pentito ha cominciato a parlare proprio del suo arrivo in Italia, a Marsala per l'esattezza, dove ha conosciuto quelli che chiamerà “la banda di Marsala”.
Parte nel febbraio 2016, da Korba, su un gommone di circa 7 metri con due potenti motori. Per questo passaggio clandestino paga 5000 dinari tunisini, in contanti, quasi 1500 euro. Partenza alle 8 di sera, il Canale di Sicilia è sgombro, il mare piatto, l'imbarcazione potente. Arrivano dopo 3 ore circa sulla costa siciliana, in una località in prossimità di una pineta, c'è anche un faro, poco distante da Mazara del Vallo.
L'uomo non è solo, insieme a lui ci sono altri dieci tunisini, tutti uomini, e all'interno dello scafo 20 scatole di sigarette di contrabbando marca “Pin”.
“Quella notte, dopo essere sbarcato ed essermi immediatamente allontanato sono andato a Marsala in un appartamento di un mio amico” racconta l'uomo alle forze dell'ordine.
Resta a Marsala, e pochi giorni dopo incontra un altro tunisino. L'incontro avviene in un bar del centro storico di Marsala, di fronte la cattedrale. Si vede con Monji Ltaief. E' uno degli arrestati nel corso dell'operazione. “Abbiamo cominciato a parlare del più e del meno, e ho appreso che Monji era al servizio di un soggetto che vive a Strasatti”. Nella frazione marsalese c'è una folta comunità tunisina. Il capo di Monji vive in una villa di sua proprietà e all'epoca del racconto, nel 2017, si trovava agli arresti domiciliari per traffico di armi. Si chiama Fadhel Moncer, ed è stato arrestato questa notte con altre 11 persone.
Il racconto del pentito, sentito per la prima volta dalla polizia di Sanremo continua delineando la figura di questo soggetto: “sempre per quello che mi ha raccontato Monji il suo capo è ricercato in Tunisia per aver sparato a personale della Guardia Costiera tunisina e per tale motivo avrebbe da scontare 21 anni di carcere in quel paese e per quanto mi è stato detto nel 2011, nel corso della rivoluzione tunisina, sarebbe evaso dal carcere”. Ma secondo quanto raccolgono gli inquirenti sarebbe stato Monji a gestire i traffici, organizzare gli spostamenti, coordinare dall'Italia, e per la precisione da Marsala, tutte le operazioni. Assieme a lui, al vertice dell'organizzazione criminale ci sono Khedr Ahmed e Ounich Khaled, che operano dalla Tunisia.
Il pentito agli inquirenti racconta di aver incontrato a Marsala più volte Monji che gli ha raccontato che si occupa lui di organizzare i viaggi di almeno tre o quattro gommoni che fanno la spola tra l'Italia e la Tunisia, “con partenze organizzate ogni volta che il meteo lo consente”. Questa è solo una parte del racconto. Il pentito spiega anche che nell'organizzazione c'erano dei soggetti vicini al terrorismo islamico. E che sono stati a Marsala per un po'. Ma lo vedremo nei prossimi giorni...