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06/12/2018 06:00:00

Vero Felice Monti, marsalese, tra i più amati sindaci di Salemi

La grande storia è fatta di piccole storie, si dice spesso. Ma solo se riescono a suscitare in una comunità passioni e sentimenti, di amore come di odio, fino ad una identificazione con esse.

Senza tema di enfatizzare, ci sembra che la storia del marsalese Vero Felice Monti possieda tutti i requisiti per essere una di queste grandi piccole storie.

L’occasione per parlarne ci viene data, proprio alla vigilia del centenario della sua nascita, dalla pubblicazione di un volumetto denso di notizie e di aneddoti, spesso inediti, che ne contraddistinsero la vita.

 

L’autrice del libro: Vero Felice Monti, un protagonista. Quaderno ricordo di Maria Stella Incandela con motivazioni biografiche ed esigenze della memoria è Maria Stella Incandela, la compagna di vita del personaggio di cui parliamo.

 

Un “quaderno” scritto di getto per soddisfare l’impellente bisogno ( sono sue parole) di rendere pubblici moltissimi aspetti privati e politici della vita del marito, ma sempre strettamente connessi con la storia del Partito Comunista, l’organizzazione politica a cui Monti appartenne per quasi l’intero arco della sua vita.

 

Non esisterebbe una storia esauriente del partito comunista trapanese e siciliano se si ignorasse la biografia di Vero Felice Monti e, viceversa, non si capirebbe la vita privata e politica di Monti se non si conoscessero gli eventi storici che il partito determinò con la sua azione diretta o tramite le organizzazioni democratiche collaterali.

 

Attingendo all’archivio personale del marito, Maria Incandela non solo gli rende un tributo di affetto, ma fornisce al lettore una miniera di notizie dai cui traspare la indissolubile connessione tra la vita privata e quella pubblica di Monti.

Non un libro biografico e senza pretese storiche, avverte l’autrice. Solo un quaderno di ricordi, suddiviso in tre parti.

 

Un “excursus vitae” di Vero Felice sulla scorta di materiale documentale ma anche dei ricordi personali. Attestati ufficiali, considerazioni teoriche o appunti politici ma anche un carteggio privato, da cui emergono rapporti umani intensi coltivati attraverso corrispondenze e illustrati da tantissime foto.

 

C’è anche una parte dedicata ad alcune opere emblematiche riguardanti la Guerra di Liberazione Nazionale, in cui ebbe un ruolo significativo.

 

E infine una rassegna dedicata ad alcune testimonianze di stima verso l’uomo pubblico, soprattutto del periodo in cui ricoprì la carica di sindaco di Salemi.

 

Il tutto legato da sottile filo rosso da cui si percepisce di trovarsi in presenza di un uomo di grande spessore politico e umano.

 

Vero Felice Monti nasce a Marsala il 2 febbraio del 1919. Comincia a lavorare molto presto, come quasi tutti i giovani di famiglia operaia.

 

Inizia come commesso in diversi esercizi commerciali della ricca città lilibetana. Troppo riduttivo per una personalità esuberante come la sua.

 

Dotato di un raffinato estro creativo, di dedica con passione all’ideazione e costruzione di oggetti in vimini che in quell’epoca erano alla moda. Coniugare la fantasia con la concretezza sarà una costante della sua attività politica.

 

Lo dimostrerà nella pratica quotidiana quando indosserà la fascia tricolore di primo cittadino della città di Salemi nei primi anni cinquanta.

 

Precoce anche il suo impegno politico.

 

A soli sedici Monti viene reclutato da Cecè Azzaretti (fondatore nel 1921 del P.C.d.I. a Marsala). Un tirocinio politico di tutto rispetto, il suo. Inizia il percorso di “rivoluzionario di professione” ( come soleva dirsi in quei tempi) facendo parte di una cellula comunista, distribuendo giornalini e volantini clandestini, un debutto ruggente negli anni trionfanti del fascismo.

 

Quando viene diffuso il proclama di Badoglio nel settembre del 1943 con la divisa di militare si trova a Crevalcore, in provincia di Bologna. In una regione in cui fitta è la rete organizzata del movimento antifascista. Come tanti militari, si ritrova sbandato. Sono i terribili giorni del “ tutti a casa”! L’Italia si spezza in due. Da una parte il nord con fascisti e nazisti, dall’altra il Regno del Sud.

 

Alcuni giovani aderiranno all’infausta Repubblica di Salò, Monti preferisce schierarsi dalla parte di chi vuole liberare la patria dall’occupazione nazista. Allaccia subito contatti con una organizzazione partigiana operante sui monti dell’Appenino. La sua intensa attività tuttavia lo espone più del necessario. Rischia la cattura. Gli consigliano di allontanarsi dall’area operativa e di scendere al sud e verso le zone liberate. Ma ad Ancona, mentre sta tentando di attraversare le linee, viene arrestato. Saranno quaranta i giorni di carcere. Appena liberato dai compagni ritorna a Crevalcore dove, per decisione del comitato politico, si arruola nella polizia ausiliaria di Bologna. Sotto questa copertura riesce a deviare i sospetti e a sfuggire ad altri arresti.

 

La nuova attività gli permette di collaborare alla creazione di un gruppo di resistenza armata e come partigiano, tra il giugno del 1944 e il gennaio 1945 partecipa ad alcune azioni di guerra.

 

A fine guerra, nel ’46, sarà riconosciuto “Partigiano combattente”, ma solo nell’aprile 1984, Presidente della Repubblica Sandro Pertini, gli verrà conferita la prestigiosa onorificenza del “Diploma d’onore  al combattente per la libertà d’Italia 1943-1945”.

 

Quando il dirigente comunista siciliano “Mommo” Girolamo Li Causi chiede ai comunisti siciliani operanti al Nord di tornare in Sicilia per costruire il Partito, Monti lascia immediatamente tutti gli incarichi ricoperti nella regione rossa, sbarca in Sicilia per assumere nuove responsabilità come dirigente di partito di primo piano.

 

Nella sua terra natia, il “rivoluzionario di professione” Monti incomincia il suo lungo peregrinare nell’Isola, incominciando da Messina, per poi raggiungere Ragusa, e Vittoria nel tentativo di rimettere le basi per un nuovo Partito.

Nel ’49 finalmente sarà a Trapani, dove lavora alla creazione del partito nella provincia, dando il meglio delle sue energie fisiche e intellettive.

 

Nel 1952, il partito lo invia a Salemi per partecipare alle elezioni comunali a capo della coalizione “Blocco del Popolo” con l’effige di Garibaldi. A sorpresa, viene eletto sindaco.

Un evento anomalo per una città, che, seppure al Referendum del 1946 avesse espresso voto favorevole per la Repubblica, si confermerà nel corso della fase repubblicana la roccaforte di un potere consolidato, non sempre trasparente.

 

E infatti lo lasceranno governare solo tre anni, fino al 1955. Lo liquideranno per il famigerato “litro di benzina” di cui Monti si sarebbe indebitamente appropriato.

Un penoso ma efficace marchingegno architettato da “menti raffinate” (ma non troppo) per liberarsi dello “stranio”.

 

Era insopportabile che un forestiero, per di più comunista, stesse dando la speranza ad un popolo da sempre assoggettato che le cose potessero cambiare e in meglio.

 

L’esperienza di Monti doveva cessare senza se e senza ma. Bisognava impedire a quella di governare la città.

 

Fu sospeso dal Prefetto dell’epoca. A nulla servirà dopo la sentenza definitiva di assoluzione perché “il fatto non sussisteva”. Fu emessa dopo la fine della legislatura, quando non c’era più nulla da fare.

 

Il clima di intimidazione continuò a regnare nella cittadina che fu di Francesco D’Aguirre per gli anni a venire.

 

Le “menti raffinate” che liquidarono l’esperienza di Monti, continueranno a condizionare la vita politica e sociale del borgo normanno, fino agli anni sessanta. I mezzi di persuasione erano diversificati, a seconda del destinatario.

 

Il segretario comunale della DC dell’epoca, Ignazio Palumbo, ad esempio, dopo avere dato l’avallo politico ad una coalizione con il partito repubblicano locale, rappresentato dal sindaco in carica Vito Teri, anch’egli oggetto di minacce, dovette cambiare linea politica dopo essere stato oggetto di un attentato.

 

Contemporaneamente il coriaceo sindaco repubblicano, decorato con tre medaglie d'argento, tre di bronzo e una croce di guerra nella seconda guerra mondilae, fu destinatario di numerose lettere anonime (una delle quali testualmente diceva: "Spirugghiati a dimetterti picchi la morti l'hai a li spaddi. Firmato: un amico") e persino di quattro colpi di pistola mentre con amici, alcune settimane prima delle elezioni, si trovava in pieno centro storico.

Indomito, si candida ugualmente e il 6 novembre del 1960 viene rieletto sindaco. Tredici giorni dopo, la notte del 19 dello stesso mese, morirà durante il sonno. Una stranezza per un pluridecorato colonnello in pensione. Attacco cardiaco, fu il referto.

 

Abbiamo riportato succintamente questi episodi per meglio fare capire il clima politico dentro il quale Monti si trovò ad operare in quei famosi tre anni.

 

E tuttavia, gli anni montiani resteranno nella storia del borgo normanno e soprattutto nella memoria e coscienza popolare.

 

E non poteva essere diversamente. Sono gli anni in cui vengono per la prima volta attivati diversi servizi di prima necessità.

 

Dall’allacciamento della rete idrica con l’acquedotto di Montescuro, alla costruzione di strade prima inesistenti, dall’attuazione di un vasto progetto di reti fognarie nei quartieri che ne erano sprovvisti, all’apertura di scuole e asili nelle frazioni di campagna.

Realizzazioni di opere di modernizzazione e di civiltà che lasciarono una impronta indelebile e di cui ancora oggi rimane viva la memoria.

 

Per quell’ironia hegeliana che spesso segna la Storia sarà un sindaco di opposto colore politico ad onorare la figura di Vero Felice Monti, intitolando a suo nome una via cittadina.

Paradossalmente, entrambi durarono in carica solo tre anni. Se per le solite medesime “menti raffinate” ( ma non troppo), difficile da dirsi e dimostrarsi.

 

Ritornerà Monti, dopo alcuni anni, a Salemi. Rifarà il sindaco con una strana coalizione, a dimostrazione che nessuno è perfetto, e che i grandi spesso commettono qualche errore.

 

 

Franco Ciro Lo Re